Nel 1937 ad Itri, in località “La Magliana”, fu girato il film “Scipione l’Africano” di Carmine Gallone, con Annibale Ninchi (Publio Cornelio Scipione), Camillo Pilotto (Annibale) , Fosco Giachetti, Isa Miranda (la milanese fu la prima diva italiana di classe internazionale), Francesca Brogiotti (la perfida, seducente Sofonisba, oggetto di una stupenda pagina di Tito Livio, di un episodio dell’ “Africa” e di tragedie del Trissino, del Corneille, del Voltaire e dell’Alfieri), Memo (propriamente Domenico) Benassi, Achille Majeroni. La pellicola, della durata di 120’, che al Festival di Venezia ottenne il premio per il migliore film  italiano, un kolossal del regime fascista, sceneggiato da Camillo Mariani dell’Anguillara, da Sebastiano A. Luciani e dallo stesso Gallone, tratta della battaglia di Zama, del 202 a. C., in cui Scipione  sconfisse i Cartaginesi, comandati da Annibale Barca, uno dei più grandi generali della storia, essendo un tattico e uno stratega, di notevole  perizia nell’arte della guetrra, ponendo fine alla seconda guerra punica.

Il condottiero e uomo politico romano aveva vendicato la disfatta di Canne (216 a. C.), antica città dell’Apulia, posta sulla destra del fiume Aufido, l’odierno Ofanto, inferta dal capo supremo dell’esercito cartaginese alle truppe romane del console Caio Terenzio  Varrone, che aveva  commesso l’errore di aver condotto l’esercito così vicino al nemico  che lo scontro fu inevitabile e disastroso per i Romani, stretti un una tenaglia, che persero 20.000 uomini, con il console Emilio Paolo. La manovra a tenaglia, impiegata allora, per la prima volta, restò famosa nell’arte militare e fu poi, più volte, imitata.

Sullo schermo appare Scipione in mezzo ai “Patres conscripti”, nell’aula del Senato di Roma. La voce melodiosa e senile  del console si spande per la sala, superando le altre voci del “Patres”… Poco dopo, egli esce dall’aula e compare  sul Campidoglio, tra le acclamazioni della folla entusiasta. Diecimila braccia  si alzano al suo passaggio. Tutti sentono che quella partenza per la Sicilia preannunzia una guerra immane e, naturalmente, vittoriosa. Dal discorso al Senato, fino alla grande battagli di Naraggara, diverse volte Scipione appare sullo schermo. Egli non assomiglia affatto al ritratto bronzeo che si trova presso il Museo Nazionale di Napoli.. Innanzitutto, ricordiamo lo Scipione, da quel bronzo, in gran parte calvo, mentre Annibale Ninchi ha la testa coperta da una sorta di parrucchina riccioluta; poi, pensando che al tempo della guerra con Cartagine Scipione ha poco più di trent’anni, il volto dell’attore sembra senz’altro troppo vecchio e molle, avendo egli cinquant’anni.

Nel film, che si avvale delle musiche del musicista e direttore d’orchestra parmense Ildebrando Pizzetti, notevole la grande perorazione, di  stampo mussoliniano, di Annibale Ninchi ai legionari romani. prima della battaglia. Alto sulla sella, il petto difeso dalla corazza  di cuoio, le magre gambe  coperte dagli schinieri, i ricciolini della parrucca rossa dolcemente mossi dal vento, l’attore incita i soldati , con la sua voce stanca e melodiosa. Nella grande pianura, cavalieri romani volteggiano sopra le loro cavalcature leggere ed eleganti. Da lontano, giungono i barriti degli elefanti, chiusi nelle grandi stalle. I colori vivaci delle antiche divise militari brillano al sole. Di tanto in tanto, un cavallo passa  a gran galoppo, lucido di sudore, sollevando un nugolo di polvere. Un soldato cartaginese , o numida, lo sprona verso un accampamento lontano, a portare gli ordini del suo capo. I cavalli dei legionari, dietro il loro comandante, scalpitano e agitano le lunghe code.Tutti corrono, scambiandosi ordini. Unico immobile, solenne, olimpico, rimane Annibale Ninchi, sul suo cavallo grande e tozzo, inchiodato al terreno. Forse si tratta di un cavallo dei trasporti Gondrand.

Circa due terzi del film sono trascorsi, da quando Scipione ha sciolto le vele da Lilibeo,m, ma , fra tutte le scene che abbiamo visto, questa ci   è sembrata  la più vera, facendoci apparire reali quelle ombre grige dello schermo. Il dramma di Annibale, le sue malinconiche considerazioni, gli amori e le virtù di Velia, il dilemma sensuale e patriottico di Sofonisba (le scene più riuscite del film sono quelle della seduzione, con “tocchi di erotismo stranamente audaci”, e  del suicidio della nobile cartaginese, figlia di Asdrubale, tramite il veleno, per non subire l’umiliazione di essere trattata come bottino di guerra dei romani e patire l’onta della prigionìa), le spiritosaggini di un “miles gloriosus”, le situazioni e le parole di tanti altri personaggi, rappresentati con assoluta mancanza di verità, sono già sbiaditi nella nostra memoria.

Molto belle le sequenze dell’ultima mezz’ora, con la ricostruzione della battaglia sul suolo africano. Si avvicina il momento della grande battaglia di Naraggara, le cui scene si impongono per l’imponenza e per la dovizia delle stesse.

Quale dei due condottieri avrebbe vinto? Scipione o Annibale?  Annibale Ninchi o Camillo Pilotto? Benché la figura di Scipione ha destato in noi particolare simpatia, ci dispiace la sorte del povero Annibale.

La battagli inizia. Sono venti minuti di emozioni. Quando gli elefanti compaiono sulla scena , attraversandola in lungo e in largo, con le loro torrette piene di guerrieri, lunghi fremiti percorrono noi spettatori.  Le lance dei romani si conficcano nella pelle rugosa dei pachidermi; le proboscidi  si alzano e si agitano tra la folla spaventata, alti barriti squarciano l’aria. Un elefante cade a terra, colpito a morte; un elefantino corre, atterrito, di qua e di là, in cerca dei genitori. I Cartaginesi fuggono da tutte le parti. I Numidi incalzano, con le loro spade,, dando grandi piattonate e calci negli stinchi, morsi e sgambetti, spaccando teste, braccia, bucando petti e stomachi. Dopo, viene lo scontro delle due cavallerie avversarie.  Quella romana corre da sinistra a destra. Quella cartaginese da destra a sinistra. In quella spaventosa mischia è difficile riconoscere i belligeranti, ma, ad ogni nuovo scontro, si sapeva che quelli che venivano da sinistra  sono romani. Non c’è da sbagliare.

Ad un certo punto, non si sa come, la cavalleria romana vince quella cartaginese. Secondo gli ordini impartiti, spetta alla fanteria entrare in battaglia. La lotta tra Romani e Cartaginesi si riaccende furibonda. Terribili fendenti cadono sulle spalle dei guerrieri: è  una confusione premeditata di gambe, corazze, braccia, elmi, lance, scudi e ghigni satanici. Abbiamo guardato stupiti lo svolgersi di questa straordinaria battaglia… Di tanto in tanto, un soldato, colpito a morte da un triario, cade a terra, tra le gambe dei cavalli.

Si dice che quando Cecil De Mille vide questo film si morse le mani le mani dall’invidia. Una tale folla di comparse in America non sarebbero mai riusciti a trovarla. Questa constatazione, che anche il regista Mamoulian si è lasciata sfuggire, deve certo riempire d’orgoglio coloro che si interessano alle sorti della nostra cinematografia.

In un certo senso, “Scipione” è il trionfo delle comparse del cinema; comparse organizzate, istruite, coordinate. Dopo un film come questo, è certo che la lotta tra film storici americani e film storici italiani, d’ambiente romano, riprenderà senza quartiere, come ai tempi di “Cabiria” e di “Quo Vadis?”. Si ricorderà  che nel primo decennio del Novecento gli americani fecero sforzi enormi per gareggiare con le nostre pellicole. Però in fatto di Campidogli e di Fori Romani, “Patres conscripti” e tribuni, imperatori, e pretoriani, Messaline e Agrippine, gladiatori e martiri cristiani, nessuno poteva superarci.

Certo, in spettacoli che si basano su un’organizzazione prevalentemente industriale, l’arte spesso ha poco a che vedere. Aveva poco a che vedere con “Quo Vadis?”, con i “Ben Hur” e le “Cleopatre”, e l’ha poco con “Scipione l’Africano”. Meritevoli di lodi sono senza dubbio  gli sforzi per costruire un’ossatura ad un’industria come la nostra, che allora era  debole e sparsa. Ma certo nessuno vorrà credere che “Scipione l’Africano”  sia riuscito un’opera d’arte.

Appunto queste considerazioni  abbiamo fatte al termine del film, riconoscendo la bravura di attori sconosciuti, che, duante la battaglia finale,  si erano buttati giù da cavallo e avevano menato le mani con tanta foga: quei soldati che correvano tra le gambe degli elefanti e quei cavalleggeri che galoppavano con tanta maestrìa  sui loro cavalli senza sella. Con questa gente, con questi attori ignoti, comparse, acrobati, “cadutisti”, militari, ecc., si potrebbe fare un film che tenesse conto anche dell’arte.. Di “Scipione l’Africano” sono essi i soli interpreti che valgono, gli unici che, per quei brevi momenti che sono apparsi sulla scena, hanno recitato con naturalezza e verità. I soggettisti, gli sceneggiatori, il regista, forse non se ne  sono accorti.

In ultima analisi, possiamo dire che “Scipione l’Africano”, montato ad Itri, nel cinema-teatro Saranieri, è un film storico, non indegno dei modelli d’Oltreoceano. Il dottor Angelo Augusto Saranieri, però, fece notare al regista ligure una grave carenza: si vedevano i fili della luce e, considerando che si era in epoca romana, era un vero e proprio anacronismo.