Non è un’incisione misteriosa, né un enigma archeologico da decifrare. È, piuttosto, la testimonianza di un’abitudine antica, astuta e tutt’altro che rara nel mondo romano: eludere i divieti con ingegno. Così il Parco Archeologico di Minturnae ha commentato la recente attenzione mediatica attorno a un’incisione emersa su una lastra rinvenuta nell’area della basilica forense dell’antica città romana. “𝘜𝘯’𝘪𝘯𝘤𝘪𝘴𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘮𝘪𝘴𝘵𝘦𝘳𝘪𝘰𝘴𝘢? 𝗡𝗶𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗮𝗳𝗳𝗮𝘁𝘁𝗼! 𝘚𝘰𝘭𝘰 𝘶𝘯 𝘵𝘦𝘯𝘵𝘢𝘵𝘪𝘷𝘰 𝘪𝘯𝘨𝘦𝘯𝘰𝘴𝘰 𝘥𝘪 𝘢𝘨𝘨𝘪𝘳𝘢𝘳𝘦 𝘪𝘭 𝘥𝘪𝘷𝘪𝘦𝘵𝘰 𝘥𝘦𝘭 𝘨𝘪𝘰𝘤𝘰 𝘥’𝘢𝘻𝘻𝘢𝘳𝘥𝘰!”, si legge in una nota ufficiale.
La lastra, che ha inizialmente suscitato curiosità per la sua enigmatica iscrizione, si è rivelata essere una tabula lusoria, ovvero una tavola da gioco, utilizzata dai romani per passatempo, scommesse e fortuna. E non una qualunque: la struttura e la disposizione dei simboli hanno permesso agli archeologi di identificarla come una scacchiera del gioco del duodecim scripta, un antenato dell’odierno backgammon.
Nel mondo romano, soprattutto in epoca repubblicana e imperiale, il gioco d’azzardo era spesso sottoposto a restrizioni. Le leggi sulle scommesse vietavano le puntate con denaro in contesti pubblici, fatta eccezione per periodi specifici come i Saturnali. Nonostante ciò, il divieto era spesso aggirato con creatività, come dimostra proprio la lastra minturnese. Questa particolare tabula riporta su due righe l’iscrizione “VTERE FORTUNA”, ovvero “Usa la fortuna”, seguita da una terza riga composta da semicerchi. Una disposizione grafica tutt’altro che casuale: le tre righe da dodici simboli ciascuna corrispondono perfettamente alla classica struttura del duodecim scripta, che prevedeva due file di dodici caselle per ciascun giocatore.
Minturnae, una storia di legalità aggirata, di cultura popolare e di resilienza creativa
Le tavole da gioco incise nel marmo o nella pietra si trovano spesso nei punti nevralgici delle antiche città romane: terme, fori, portici, cortili di basiliche. Minturnae non fa eccezione. La lastra in questione, infatti, proviene probabilmente da una soglia della basilica, luogo di intensa frequentazione e centro della vita pubblica. Proprio per eludere le sanzioni e i controlli, le caselle del gioco venivano camuffate da lettere o simboli che all’apparenza sembravano frasi benauguranti o religiose. Una strategia tanto efficace quanto sottile, che consentiva di giocare liberamente in spazi pubblici senza incorrere in sanzioni. “Un modo astuto per continuare a giocare… ingraziandosi la buona sorte”, aggiunge ironicamente il Parco nella sua nota.
Il duodecim scripta non era solo un passatempo, ma anche uno specchio della società romana. Rappresentava un momento di aggregazione, di svago, ma anche – e non di rado – una pratica di scommessa, con tutti i rischi e le astuzie del caso. La necessità di nasconderlo, e al tempo stesso la sua onnipresenza nei luoghi pubblici, testimonia quanto fosse radicato nella vita quotidiana dei cittadini romani.
Minturnae, oggi prezioso sito archeologico del Lazio meridionale, torna quindi a raccontare, con un semplice frammento inciso nella pietra, una storia di legalità aggirata, di cultura popolare e di resilienza creativa, che accomuna i nostri antenati a noi più di quanto si possa immaginare. Il Parco Archeologico ha colto l’occasione per sottolineare l’importanza della conservazione e valorizzazione del patrimonio materiale e ha annunciato l’intenzione di integrare la tavola da gioco nel percorso espositivo, per renderla fruibile al pubblico insieme a una spiegazione dettagliata delle sue funzioni e del contesto storico.
Una piccola lastra, dunque, capace di riaccendere la curiosità, riportare in luce frammenti di vita quotidiana e raccontare con semplicità l’ingegno degli antichi romani nel dribblare regole e restrizioni. Anche solo per tirare i dadi… e sfidare la sorte.













