Ricostruire il centro: il pensiero di Ortensio Zecchino tra storia, politica e futuro – Ortensio Zecchino ha insegnato storia del diritto medievale e moderno in diverse università italiane. È stato europarlamentare, senatore, ministro dell’università e della ricerca scientifica. Attualmente presiede il Comitato Nazionale per le celebrazioni dell’Ottantesimo anno della nascita della Democrazia Cristiana.
- Oggi, in un’Italia e un’Europa sempre più polarizzate, vede ancora la necessità di questa funzione mediatrice, di uomini e donne liberi e forti che sappiano tenere insieme il Paese evitando gli estremismi?
Certamente ci sarebbe bisogno di una funzione mediatrice, ma come lei ha detto la politica un po’ dovunque si è polarizzata. Essere in una posizione mediana, come dice Croce, non significa occupare un luogo geometrico ma incarnare un certo modo di intendere la politica. Tra Croce e Sturzo c’è una grande consonanza: Sturzo, sacerdote, è stato un laico sostenitore dell’unità dei “liberi e forti”, laicamente intesa e permeata dai valori della civiltà cristiana, non della professione al cattolicesimo. Da questo punto di vista, quello che dice Sturzo avrà un riscontro venti anni dopo nel celebre saggio di Croce “Perché non possiamo non dirci cristiani”. Un richiamo all’unità di tutti coloro che, al di là della fede, problema molto complicato ed individuale, si ritrovano nella comune accettazione dei valori della civiltà cristiana.
- Presidente Zecchino, a distanza di oltre trent’anni dallo scioglimento della Democrazia Cristiana, come valuta le motivazioni che portarono a quella scelta così drastica? Con il senno di poi, è stato un errore storico e politico o andava fatto?
Dunque, innanzitutto una precisazione perché io ero presente e partecipe. La gran parte di noi, non immaginava di dover chiudere l’esperienza democratico cristiana ma, anche se le cose sono andate diversamente, l’intenzione era di trasferire il bagaglio di esperienze in un soggetto che avrebbe dovuto essere il suo erede diretto ovvero il Partito Popolare Italiano. C’era, naturalmente, il momento difficile di Tangentopoli e la necessità, anche dal punto di vista mediatico, di metter fuori una novità, anche nominalisticamente intesa, che si riallacciasse, però, ad una storia. Non un nuovismo che si apriva senza coordinate, bensì un nuovo che si ricollegava alla radice ancora più antica. Poi, passo dopo passo, il PPI si è progressivamente dissolto a sinistra, credo realizzando una grande confusione nel sistema politico, poiché, soppresso questa, non abbiamo creato una nuova tradizione.
Certamente va recuperato e rigenerato il pensiero cattolico in politica, il quale si può sintetizzare con alcuni grandi principi: innanzitutto, l’accettazione della democrazia parlamentare che non era scontatissima nella tradizione della Chiesa; il secondo punto è stato l’affermazione della dottrina sociale cristiana; il terzo è una visione religiosa della vita a differenza di altri che hanno una visione economicistica o materialistica.
Proprio su questi punti si dovrebbe attestare una forza legata ai valori della cristianità e quindi unire, oltre al mondo cattolico, anche tutti coloro che non hanno fede ma hanno pari coscienza della non riducibilità dell’uomo ad un puro assemblaggio di organi.
- Quale ruolo dovrebbe avere oggi la formazione politica per preparare una nuova classe dirigente?
Per quanto riguarda la formazione politica, allora c’erano dei canali naturali, come l’associazionismo cattolico nel quale sono stato immerso e poi la politica stessa: oggi si è candidati ad alte cariche senza un curriculum politico, prima non si poteva diventare, ad esempio, ministro alla prima legislatura parlamentare perché c’era un naturale cursus che significava un tirocinio, una formazione: il cursus stesso, iniziando col fare il consigliere comunale, era una formazione continua. Se si leggono i nomi di chi siede oggi in Parlamento è evidente come non sempre i ruoli siano ricoperti da persone in grado di sostenere con responsabilità il ruolo assegnato. I partiti con tutte le loro pecche erano scuola: i comunisti formavano i loro quadri, noi anche. Oggi si cercano per le candidature i volti dello spettacolo, della televisione e la politica si è oggettivamente impoverita.
- Una nota a margine, di attualità. Da poco anche in Senato è stata approvata la riforma della Giustizia sulla separazione delle carriere dei magistrati, cosa ne pensa?
Voterò si al referendum. Già alla Commissione bicamerale presentai la proposta di separazione della carriera. Per il PPI eravamo sette membri in quella Commissione e, su questo tema, facemmo una riunione molto difficile tra noi, poiché c’erano diversità di vedute e alla fine la maggioranza decise di sostenere questa riforma, infatti in commissione votarono favorevolmente Mattarella, De Mita, Marini, Andreoli e chi le parla; invece, votarono contrariamente Elia e Bressa. Nel documento programmatico di nascita del PPI c’è la separazione delle carriere, questo è un argomento nostro della cultura democristiana: anche su questo tema ci sono delle pagine bellissime di Sturzo. E poi il condizionamento delle correnti in magistratura è stato ed è potentissimo andando a creare tanti danni di immagine e di sostanza e va spezzato questo meccanismo.













