I giovani che lasciano l’Italia e i danni per il paese

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Image by Joshua Woroniecki from Pixabay

Maurizio Franzini, Professore di Politica Economia presso l’Università Sapienza di Roma, comunica: “Gli italiani di età inferiore ai 35 anni che vivono in Italia oggi sono 3,5 milioni in meno rispetto a due decenni fa. Un calo impressionante che ci vale l’ultimo posto nella classifica dei paesi europei per quota di popolazione giovane. Se questo è accaduto, c’entra la denatalità, eccome. In Italia nascono pochissimi bambini e comunque in numero non sufficiente a rimpiazzare quelli che con il passare del tempo escono dalla gioventù, con la conseguenza che si assottiglia il nostro ‘parco-giovani’.

La denatalità non è, però, l’unica causa di quel calo. C’è anche che molti giovani lasciano il nostro paese, emigrano. Nel decennio 2013-2022 sono andati a vivere altrove, soprattutto in Germania (12,8%), Spagna (12,1%) e Regno Unito (11,9%), 352.000 giovani di età compresa tra i 25 e i 34 anni.

In realtà il fenomeno degli italiani che emigrano è più generale, anche se largamente trascurato: nel triennio 2022-24 più di mezzo milione di italiani di tutte le età ha abbandonato il paese; nel solo 2024, ci informa l’Istat, sono stati 191 mila. Si tratta del dato più alto dall’inizio del secolo ed equivalente alla popolazione di una città come Modena più qualche piccolo comune limitrofo. E, forse inaspettatamente, emigrano in prevalenza italiani del Nord.

Tornando ai giovani, le ragioni della loro fuga sono molteplici, come risulta da varie indagini. Anzitutto le condizioni di lavoro, sperimentate o previste: il 41% dei giovani ha rapporti di lavoro precario, che vuol dire incertezza e discontinuità lavorativa. Per questo motivo, e non solo, le loro retribuzioni sono spesso molto basse. Nel 2022 la retribuzione lorda media annua di tutti i dipendenti del settore privato è stata di 22.839 euro, quella dei dipendenti di età compresa tra i 15 e i 34 anni si è fermata a 15.616 euro, con ovvie differenze tra i dipendenti con contratti stabili (in media 20.431 euro) e con contratti a termine e stagionali (rispettivamente 9.038 e 6.433 euro). Nel settore pubblico le retribuzioni medie dei giovani sono state del 49% più elevate: 23.253 euro. Con queste retribuzioni medie è facile immaginare che, soprattutto ai molti che si collocano sotto la media, sia preclusa la possibilità di una vita dignitosa e ancor più – a proposito di denatalità – di avere figli. Emigrare diventa un’attraente alternativa a cui però, non tutti, per varie e ovvie ragioni, possono accedere.

Le motivazioni della fuga all’estero non sono, però, soltanto economiche. Dall’ultima indagine annuale sulla condizione giovanile dell’istituto Toniolo risulta che conta molto non sentirsi realizzati nel lavoro e non riconoscersi nei valori dell’azienda in cui si lavora. Emerge, qui, un punto decisamente rilevante: per molti giovani – certo, non tutti – il lavoro non è solo un mezzo per procurarsi il reddito da cui dipende il proprio tenore di vita ‘materiale’, è anche un fine in sé perché esso dà (o non dà) senso e significato alla propria esistenza. E ciò contribuisce a comprendere la forma forse più preoccupante della emigrazione dei giovani: la cosiddetta fuga dei cervelli.

Tra i giovani che lasciano l’Italia i laureati (e ancora di più i dottori di ricerca) sono decine di migliaia. Nel 2023 sono stati 21.000 di età compresa tra 25 e 34 anni. E’ un record storico, ci informa l’Istat, e nel valutare il dato va tenuto presente che l’Italia è un paese con pochi laureati: il 30,6% dei 25-34enni contro la media europea del 43,1%.

Rimuovere le cause che spingono molti giovani a emigrare (e, verosimilmente, moltissimi altri a desiderare di farlo, senza poterlo fare) servirebbe non soltanto a mitigare il loro malessere ma anche ad evitare danni e costi più generali al paese, e ciò vale soprattutto nel caso della fuga dei cervelli. I nostri laureati (e, in misura minore, diplomati) sono giovani sui quali il paese ha investito risorse per dotarli di quelle conoscenze e competenze (più o meno buone) che gli economisti chiamano capitale umano. Emigrando, essi mettono quelle competenze e conoscenze al servizio del benessere di altri paesi. Dunque, a noi i costi e a loro i benefici del capitale umano. Stime precise dell’entità di questo ‘spreco’ non sono facili da formulare ma è ragionevole pensare che nello scorso decennio la perdita sia stata dell’ordine di un centinaio di miliardi. E, guardando più complessivamente ai fenomeni migratori che interessano l’Italia, si può dire che da noi vengono soprattutto giovani da formare mentre vanno via molti giovani già formati. Non proprio un affare.

L’insoddisfazione dei giovani, anche quando non si concretizza nella fuga all’estero, può avere importanti ricadute, anche sulla loro fiducia nelle istituzioni e nella stessa democrazia. Al riguardo la situazione, quali che ne siano le cause, appare già preoccupante. Da una recente sondaggio YouGov, (“Junges Europe 2025”), realizzato in Germania, Francia, Spagna, Italia, Grecia, Polonia e Regno Unito, che ha coinvolto giovani tra i 16 e i 26 anni è emerso che solo il 57% ritiene che la democrazia sia la migliore forma di governo, e l’Italia è perfettamente allineata a quella media. Più impressionante è il dato sulla quota dei favorevoli a un regime autoritario: in Italia è il 24%, cioè praticamente un giovane su 4. Inoltre, il 48% di tutti gli intervistati ritiene che la democrazia sia a rischio nel proprio paese.

Anche per tentare di contrastare queste tendenze occorrerebbe prendere in modo estremamente serio l’insoddisfazione di una quota rilevante di giovani; ma farlo significa trovarsi di fronte a un ulteriore problema: la decrescente presenza dei giovani nei processi decisionali democratici. Consideriamo alcuni dati. Nel 2002 i giovani erano il 30,4% degli elettori, 20 anni dopo soltanto il 21,9%. Inoltre, e soprattutto, gli under 35 eletti in Parlamento, anche per effetto del taglio del numero di Parlamentari che è ricaduto soprattutto su di loro, tra il 2018 e il 2022 sono diminuiti dell’80%: da 133 a 27.

In un Parlamento in cui i giovani sono così poco rappresentati, decisivi per prendere iniziative legislative idonee a mitigare la loro insoddisfazione sono gli ex- giovani che dovrebbero, però, essere sensibili al problema e consapevoli della posta in gioco. Il che richiede, tra l’altro, di rigettare l’immagine dei giovani che spesso affiora, anche nelle affermazioni di qualche ministro: quella di ‘bamboccioni’ privilegiati che scelgono di godersi la vita sul divano. Giovani così possono esservene, ma è un grave errore trasformarli nell’icona dei giovani d’oggi e la semplice ragione è che ve ne sono tanti di più che chiedono (spesso tacitamente) cose decisamente ragionevoli, chiedono di poter vivere, anche grazie a una maggiore disponibilità di lavori dignitosi, una vita dignitosa e magari avere i figli che molti desiderano ma non possono ‘permettersi’. Non sarebbe una buona idea ascoltarli?”