1925-2025, cento anni dal secondo Tour de France vinto da Ottavio Bottecchia. Morto due anni dopo in circostanze misteriose.

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Ottavio Bottecchia fu il primo ciclista italiano a vincere il Tour de France e l’unico dei nostri ad averlo vinto due volte consecutivamente, nel 1924 e nel 1925. Staremmo qui a scriverne di tre consecutivi se, nel 1923, la sua squadra, la francese Automoto, lo sacrificò per far vincere il francese Henri Pélissier. Bottecchia terminò secondo, prima volta di un italiano sul podio. Aveva un carattere forte, Ottavio Bottecchia. Per certi versi ricorda lo spirito di determinazione e volontà di Stardi, personaggio del libro Cuore.

Povero muratore, Bottecchia iniziò a correre in bicicletta per guadagnarsi da vivere e la vittoria che conseguì nella categoria “isolati” al Giro d’Italia nel 1923 lo fece notare da Henry Desgrange, organizzatore della corsa a tappe francese, che lo invitò a gareggiare in Francia. Vinse il Tour de France nel 1924 e nel 1925. Le cronache riportano che morì in un incidente durante un allenamento, nel 1927. Andarono proprio così i fatti? Probabilmente sì, probabilmente no. Un contadino l’aveva visto cadere dalla bici, rialzarsi e camminare traballando per ricadere. Cadere per le botte ricevute dai fascisti qualche minuto prima? Dunque una caduta non per errore ma per dolore. Ipotesi di un delitto, come spiega lo scrittore Enrico Spitaleri, autore de “Il delitto Bottecchia”.

Malgrado fosse un tesserato fascista, Ottavio Bottecchia era intimamente socialista, simpatie alimentate dai suoi soggiorni in Francia e dalle frequentazioni di antifascisti. Tra le sue amicizie pericolose quella con l’anarchico Alberto Meschi, carrarese, compagno di quel Gino Lucetti autore di un fallito attentato al duce. Poi c’è dell’altro. Ottavio Bottecchia muore il 15 giugno. Suo fratello Giovanni era morto, investito da un’automobile, il 22 maggio. L’auto, con autista, apparteneva a Franco Marinotti, pezzo grosso del Fascio, testimone di nozze di Mussolini. Ottavio si era recato dal Marinotti per chiedere un risarcimento economico e il funzionario fascista gli aveva offerto centomila lire. Il Bottecchia non solo rifiutò ma prese a male parole il gerarca. Un vero affronto che gridava vendetta.

In conclusione, se volessimo ipotizzare un omicidio, i fatti andarono in tal modo. Ottavio Bottecchia viene picchiato dai fascisti, percorre qualche chilometro in bicicletta, cade per il dolore. Viene soccorso e su un carro lo portano all’ospedale di Gemona, dove poi morirà. Ancora vivo pronuncia questa parola: malore. Insomma dice di essere caduto per un malore. Perché allora non spiega la dinamica vera dell’accaduto, cioè di aver subito un agguato? Risposta: Bottecchia aveva stipulato un’assicurazione sulla vita che avrebbe pagato solo in caso di morte sul lavoro, nel suo caso l’allenamento in bicicletta. Ci teneva, Ottavio Bottecchia, che la moglie intascasse il capitale (500mila lire, circa mezzo milione di euro al valore attuale). Lui correva per i soldi e per far uscire la famiglia dalla miseria. Un suo modo, in punto di morte, per dire ai fascisti “Andé a farve ‘ndar in mona!”. E la traduzione in italiano è parecchio intuitiva!