Dalle rotte nordiche alla cucina italiana
Il baccalà ha una storia millenaria che affonda le sue radici nel Nord Europa. I Vichinghi già nel XII secolo essiccavano il pesce per garantirsi una fonte alimentare durante i lunghi viaggi. Tuttavia, il termine “baccalà” deriva dal fiammingo “bakkeljauw”, entrato in uso in Italia attorno al XV secolo.
Fu il navigatore veneziano Pietro Querini a introdurlo in Italia nel 1432, dopo un naufragio sulle isole Lofoten in Norvegia. Al suo ritorno, portò con sé questa nuova scoperta alimentare, che si rivelò presto preziosa per le sue proprietà di lunga conservazione e la facilità di trasporto.
Il baccalà entrò stabilmente nella cucina italiana grazie anche alla Chiesa: nei giorni di magro e durante la Quaresima, era consentito solo il consumo di pesce, e il baccalà rappresentava una pratica alternativa al pesce fresco, soprattutto per le classi popolari.
Napoli, Venezia e Vicenza
Nella cucina napoletana, il baccalà è un piatto profondamente radicato, soprattutto durante le festività natalizie. È preparato spesso fritto in pastella o, appunto, alla napoletana, ovvero in umido con pomodoro, olive nere e capperi. Il contrasto dolce-salato e l’uso del pomodoro rivelano l’influenza mediterranea della tradizione partenopea. Tra l’altro, Somma Vesuviana, in Italia, è considerata la patria del baccalà perché dal XVI secolo le aziende del territorio importano questo prodotto dalla Norvegia per farlo arrivare poi sulle tavole.
A Venezia, il baccalà viene identificato con lo stoccafisso (merluzzo essiccato, non salato) ed è celebrato nella preparazione del baccalà mantecato. Ridotto in crema con olio d’oliva e aglio, viene servito su crostini di pane o polenta. Una ricetta frutto dell’incontro tra povertà e ingegno culinario.
Forse il più celebre piatto a base di baccalà in Italia è il baccalà alla vicentina: stoccafisso ammollato, cotto a lungo nel latte con cipolle, sarde sotto sale e grana grattugiato, servito con polenta. Questa ricetta, codificata dalla Confraternita del Baccalà alla Vicentina, è simbolo della cucina povera del Veneto, diventata patrimonio gastronomico.





