Si fa un gran parlare in questi mesi degli importanti ritrovamenti che ogni giorno ci riservano gli scavi di Pompei, iniziati nel lontano 1748 per volere di un re curioso come re Carlo di Borbone, che dopo aver avviato quelli di Ercolano (1738), scoperta casualmente da un contadino, come molte volte accade, nel 1711, indirizza i propri interessi su quelli pompeiani, fucina ancora oggi di straordinarie scoperte.

L’ultima di questi giorni con un Thermopolium ancora pressoché intatto.

Ma la realtà archeologica italiana non è costituita soltanto da Pompei, da Ercolano, da Stabia, e dalla grande area archeologica di Roma e da tutte le altre sparse per i territori che furono sottomessi al dominio dell’impero romano.

Esiste nel nostro territorio un sito di straordinaria bellezza, che non è secondo a Pompei, come dimostrano i tanti ritrovamenti che ci fanno ipotizzare un’area ancora più grande da portare alla luce: Minturnae.

Una città romana, abbandonata intorno al VI secolo d.C. a causa dell’interruzione dei rifornimenti idrici (l’acquedotto danneggiato), la malaria, i continui saccheggi che la resero facilmente vulnerabile e che portò la popolazione a rifugiarsi sulle alture e far nascere Traetto, l’attuale Minturno.

Divenuta per secoli una cava a cielo aperto (con i materiali che ne furono tratti fu costruita, tra l’altro, la Torre di Pandolfo Capodiferro e la stessa medievale Traetto.

Sistematica la spoliazione nel 1820 a cura del Generale Nugent su autorizzazione, purtroppo, del sovrano di Napoli Ferdinando I di Borbone.
Scoperta e riportata alla luce negli anni Trenta del secolo passato, grazie alla preziosa mediazione politica di Pietro Fedele, che tanto si spese nella sua veste di Ministro della Pubblica Istruzione prima e di Senatore poi (suoi i progetti per far ripartire gli scavi di Ercolano con Amedeo Maiuri, per riportare alla luce le navi romane affondate nel lago di Nemi, solo per citarne alcuni) e l’opera di uno straordinario archeologo americano, Jotham Johnson.

Ne parliamo con l’amico Cesare Crova, architetto presso l’Istituto Centrale per il Restauro del MiBACT, uno degli istituti più prestigiosi a livello mondiale nel campo della ricerca e del restauro delle opere d’arte, professore Associato di Restauro e Storia dell’architettura, già vice Presidente Nazionale di Italia Nostra, che recentemente è stato confermato dal Ministero dell’Ambiente per il secondo mandato nel CDA del Parco Nazionale del Circeo e nominato nel Consiglio Generale della prestigiosa Fondazione “Roffredo Caetani”, che gestisce i Giardini di Ninfa e il Castello di Sermoneta.
Una figura attenta e scrupolosa di studioso e ricercatore, figlio del nostro territorio, per il quale ha aperto importanti filoni di ricerca, ampiamente documentati nelle sue oltre cento pubblicazioni.

Perché è oggi così importante parlare di Minturnae.
Quello che è stato fatto negli ultimi anni è straordinario, perché dimostra come la felice sinergia Stato-Ente locale possa portare a ottenere questi risultati. Dobbiamo ringraziare la lungimiranza degli amministratori locali che in momenti non certo semplici, hanno investito acquisendo al patrimonio comunale dei lotti di terreno sotto i quali si sapeva esserci quel ricco patrimonio culturale rappresentato dalla città di Minturnae. É un pò tornare indietro di 90 anni, e rivedere le stesse figure: Pietro Fedele e Jotham Johnson. In questo senso, va dato atto al grande lavoro di mediazione della dott.ssa Giovanna Rita Bellini, per la passione che ha sempre avuto nella direzione degli scavi. Peccato che Minturnae non abbia mai avuto quel riconoscimento statale che avrebbe meritato. E l’essere passata negli ultimi anni sotto la gestione della Direzione del Polo Museale del Lazio non ha fatto altro che acuire queste criticità, perché se prima era tutto fermo, adesso si era tutto definitivamente bloccato.

Gli scavi.
L’intuizione è stata quella di ideare un progetto finanziabile, che permettesse d portare avanti, su area pubblica (comunale) gli scavi in continuità con quelli statali. Da qui, la messa in luce di una porzione della via Appia e del castrum, di cui avevamo notizie dagli scavi degli anni Trenta del XX secolo, e che i lavori di scavo hanno permesso di riportare alla luce.
Ma è il contesto che ruota intorno al progetto che è di grande interesse. Aver creato un ufficio scavi, con archeologi, documentaristi, aperto a tutti, creare una pagina facebook dove chiunque, in tempo reale potesse apprezzare il lavoro che si sta facendo. Elementi di novità e che rilanciano anche digitalmente questo sito, a oggi troppo maltrattato e fuori dai circuiti che contano.

Il nuovo finanziamento recentemente ottenuto dal Comune di Minturno per il prosieguo delle attività di scavo è la dimostrazione di come questo lavoro non solo abbia dato i suoi frutti, ma siano stati riconosciuti e premiati con una seconda fase che permetterà di conoscere altre dinamiche sulla vita della città romana.

Gli esiti
Proprio il tanto decantato “turismo” portato avanti con vigore dal Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini, è quel volano che potrebbe portare linfa vitale non solo al comprensorio di Minturnae, ma a tutto il comparto turistico del Comune di Minturno. Avere un’area archeologica così importante (vorrei ricordare che l’anfiteatro ancora sepolto non aveva nulla da invidiare a quello di Pompei e questo la dice lunga sull’importanza della città romana), significherebbe attrarre turismo culturale, in un luogo che è un perno per il turismo del centro Italia, per chi volesse andare verso Napoli, Caserta, Ercolano, Pompei, Montecassino, Roma, le Terme di Suio o spingersi oltre, verso l’altro capo della penisola italiana, con Ortona, lungo la Linea Gustav. O semplicemente frequentare le spiagge dorate del Golfo di Scauri.

I propositi        

Con la dott.ssa Bellini ci siamo confrontati, grazie agli inviti che mi ha fatto di andare a visitare gli scavi sul problema che potrebbe porsi dopo, perché uno scavo, una volta terminato, va mantenuto, curato, valorizzato (in uno di questi ho accompagnato il prof. Federico Marazzi, ordinario di Archeologia Cristiana e Medievale, padre degli scavi di San Vincenzo al Volturno (l’abbazia “vicina di casa” di Montecassino) uno dei più grandi esperti al mondo di Longobardi e Bizantini, che in quella visita ha stretto un patto di collaborazione con Giovanna Bellini per portare una scultura bizantina, ritrovata a Minturnae, alla Mostra che si snoderà per l’Europa nel 2021/22, che lui sta organizzando su questo popolo).

Personalmente ritengo che debbano essere percorse due strade. Creare un Ufficio Scavi del Comune di Minturno, dedicato alle attività che ruotano intorno a questi (e che potrebbe essere ampliato anche ai beni culturali). Con competenze sia amministrative, che tecniche, così che attraverso un solo ufficio sia possibile gestire questo patrimonio di inestimabile valore. Al suo interno, organizzare quella che è la conservazione programmata degli scavi (da non confondere con la manutenzione, che è altra cosa).

La conservazione programmata è un modello di strategia globale, che comprende la gestione del rischio attraverso interventi sul contesto, così come quello diretto sul bene, che ne diminuisce la vulnerabilità. Rispetto alla tradizionale mentalità del restauro, essa accentua l’attenzione al tempo lungo e al rischio e richiede un’innovazione di processo che presuppone un profondo cambiamento di cultura operativa.

La conservazione programmata va letta nella sua accezione di controllo preventivo e di verifica delle condizioni di un monumento e del suo contesto. Prendendo spunto dalle felici intuizioni di Giovanni Urbani, già Direttore l’Istituto Centrale del Restauro negli anni Settanta del secolo passato, uno dei primi a delineare i concetti della conservazione programmata, essadovrà rivolgersi sempre, prima che verso i singoli beni, verso l’ambiente che li contiene e dal quale provengono le possibili cause di deterioramento. L’obiettivo è perciò il controllo di queste cause, per rallentare i processi di alterazione, intervenendo con trattamenti manutentivi appropriati. Il programma di manutenzione/prevenzione, dunque, stabilisce le modalità e la tempistica dei controlli, assicurando che le operazioni avvengano in tempo utile e in modo efficace, suggerendo gli accertamenti e i tempi delle verifiche.

Credo che tutto questo possa permettere di creare un modello di valorizzazione di questo luogo magico, ricco di storia ancora tutta da scoprire che non potrà che portare benefici all’intero comprensorio minturnese e non essere seconda neanche a Pompei.