Ravanelli, cetrioli, barbabietole, zucchine e rape bianche, imbottite di veleni, finiscono sulle nostre tavole.

I sospetti interessano i terreni coltivati nel quadrilatero tra San Felice Circeo, Terracina, Sabaudia e Pontinia. Operazione denominata “Job Tax” grazie ai Carabinieri del NAS di Latina, attivati dal Procuratore della Repubblica aggiunto Carlo Lasperanza e dall’aggiunto Claudio De Lazzaro.

Bisogna riconoscere al gruppo editoriale La Repubblica la determinazione di portare avanti un’inchiesta puntuale, iniziata due anni fa sulle pagine del settimanale Venerdì grazie al sociologo Marco Omizzolo.

Certamente da parte nostra non possiamo non evidenziare che nella provincia pontina vi sono certamente aziende sane, che lavorano e producono secondo le regole previste dalle leggi vigenti.

Comunque Repubblica quotidiano ci fa sapere che questa volta gli inquirenti non hanno dubbi: i ravanelli coltivati in una nota azienda agricola di successo tra San Felice Circeo, Terracina e Sabaudia, venivano imbottiti di fitofarmaci proibiti.

Si tratta di sostanze cancerogene, pericolose per la salute pubblica, che sarebbero state nascoste facendo attenzione a far analizzare in un laboratorio in Campania solo gli ortaggi “puliti” e a ottenere così la certificazione utile a immettere il prodotto sul mercato locale, nazionale ed estero.

Convinzioni maturate dai carabinieri del Nas di Latina e poi dal procuratore aggiunto Carlo Lasperanza e dall’aggiunto Claudio De Lazzaro con una serie di controlli svolti nella società agricola pontina, fino ad oggi considerata un’eccellenza nel panorama laziale, la scoperta di documentazione relativa all’uso delle sostanze vietate e le stesse analisi fatte effettuare dagli investigatori sugli ortaggi.

E a quanto pare quello che è stato scoperto nell’inchiesta denominata “Job Tax” non sarebbe un caso isolato.

Ci sono altre indagini in corso e la Procura sta accendendo un faro su un fenomeno denunciato due anni fa, con un’inchiesta sul Venerdì di Repubblica, dal sociologo Marco Omizzolo, da anni in prima linea contro lo sfruttamento dei braccianti stranieri nei campi dell’agro pontino, che dichiara: “Per la prima volta viene riconosciuto in via ufficiale l’utilizzo di tali prodotti e questa è la prima inchiesta che verte tanto sul lavoro quanto sull’ambiente”.

In base a quanto ricostruito sinora dallo stesso sociologo pontino dell’Eurispes, i fitofarmaci illegali impiegati da diverse aziende tra San Felice Circeo, Terracina, Sabaudia e Pontinia sono quelli vietati in Italia dal 2009, molto pericolosi per la salute dei lavoratori agricoli, dei consumatori e dell’ambiente.

Nonostante i divieti, la produzione a livello internazionale di tali sostanze è andata avanti, vengono acquistate sui mercati, su quello cinese in particolare, ma non solo, e vengono importate mediante organizzazioni criminali specializzate, che fanno arrivare la merce nei porti di Napoli e Gioia Tauro.

Tali sostanze verrebbero poi lavorate in laboratori calabresi e campani e vendute a imprenditori agricoli pronti a spendere tra gli ottomila e i ventimila euro per ogni fornitura.

I fitofarmarici vietati vengono inoltre confezionati in flaconi quasi identici a quelli che venivano impiegati dalle multinazionali prima che le norme li mettessero al bando, contenitori che non si sa ancora bene da chi vengano realizzati, e che già nel 2010 hanno portato le stesse multinazionali che hanno abbandonato simili produzioni a denunciare agli inquirenti l’esistenza di un simile circuito clandestino.

Tali sostanze infine prenderebbero la strada soprattutto dell’agro pontino e della Sicilia occidentale.

“Ho trovato tracce di tali prodotti, infiltrandomi tra i braccianti, in almeno trenta aziende pontine”, assicura sempre Omizzolo.

Fitofarmaci cangerogeni appunto, ma che consentono agli imprenditori di fare ricchi affari, impedendo ai fiori di cadere e aumentando la produzione.

Tali sostanze anticipano inoltre la maturazione dei prodotti, rendendo il business ancor più ricco, in quanto sui mercati vengono portate delle primizie.

Ravanelli, cetrioli, barbabietole, zucchine e rape bianche, imbottite di veleni, finiscono in tal modo sulle tavole. In quali proporzioni?

Dall’indagine appena conclusa è stato impossibile stabilirlo e gli investigatori non sono riusciti neppure a poter individuare il canale di approvvigionamento dei prodotti proibiti.

Qualcosa però inizia a insospettire anche i mercati esteri.

Tanto che qualche carico proprio di rape bianche, coltivate principalmente per essere esportate in Germania e Olanda, è stato rispedito indietro dai tedeschi.

Enormi infine i rischi per i braccianti, sostiene Omizzolo: “Molti lavoratori stranieri si sono ammalati e sono deceduti. I più, nella fase terminale, preferiscono però tornare in India e i pochi che sono rimasti qui non sono stati sottoposti ad accertamenti medico-legali, per cui sinora è stato impossibile stabilire un nesso di causalità tra le patologie oncologiche e i decessi”.

Proprio i ravanelli, tra l’altro, vengono raccolti camminando in ginocchio, a 30 centimetri da terra, e i braccianti, privi di presidi di protezione, respirano tutto quello che proviene dal terreno.

In alcune aziende inoltre i fitofarmaci verrebbero nebulizzati mentre i braccianti sono nei campi e alcuni hanno raccontato che in quei momenti iniziano ad avvertire bruciare agli occhi, a qualche ferita che hanno sulle mani e al naso, che inizia loro a colare.

In definitiva bisogna prendere atto che esiste una realtà inquietante ancora in larghissima parte sommersa.