Yellowjackets a Caposele

L’arena dell’area archeologica di Caposele a Formia ha avuto il piacere di ospitare domenica 29 luglio il concerto del gruppo Yellowjackets, di base a Los Angeles e ora in tournée in Europa, nell’ambito dell’annuale festival promosso dall’associazione Jazzflirt e all’interno delle manifestazioni dell'”Estate Insieme” patrocinata dal Comune. Il concerto è stato introdotto da Gerardo Albanese di Jazzflirt e dal docente e musicologo Vincenzo Martorella.

Ponte tra generazioni più estroverse e arrabbiate e un jazz più maturo che da una base classica si arricchisce e assimila in se  voci di una global music contemporanea, gli Yellowjackets sembrano attraversare il tempo riuscendo a rimanere da un lato fedeli alle origini del jazz moderno (Coltrane, Davis fino alla fusion) ma anche pronti a recepirne forme contemporanee.  A volte la musica scorre sulla pelle senza toccarla, senza scosse che  facciano pulsare all’unisono;  altre  volte il flusso è esclusivamente mentale, da seguire in trance ipnotica perché i fraseggi sono rapidi e hanno finali solo accennati. Quando i singoli strumenti si fanno solisti sopravviene la volontà di comunicazione quasi privata dello strumento, come a voler comunicare esigenze personali all’interno del discorso generale, come spesso accade nella struttura formale del jazz ma tutto senza andare fuori dalle righe di un grafico che vuole mantenersi all’interno di una comunicazione perfettamente controllata. E’ un suonare mai fuori dai confini, sempre comunicante una classe ed un equilibrio espressivo acquisiti da riferimenti alti e lunga esperienza sul campo. Gli strumenti si alternano per dare l’indirizzo iniziale  del brano, a volte le tastiere di Russell Ferrante, altre il sax di Bob Mintzer; in altri momenti si predilige una fusione indistinta in cui i quattro seguono un flusso comunicativo unico; il basso di Dane Alderson non solo supporta ma inserisce spesso   fraseggi virtuosi senza mai strafare e il drumming di Will Kennedy è energico ma  mai fuori misura.

I pezzi eseguiti coprono la lunga carriera (quasi 39 anni, come ha voluto puntualizzare Bob Mintzer) del gruppo, da “Golden State” a “Monk’s habit” a “Raising voice” che appartiene all’album di prossima uscita a settembre.

La sera precedente abbiamo avuto il privilegio di un lungo colloquio con Bob Mintzer e Will Kennedy, come tutti i veri grandi della musica persone compassate ed estremamente cortesi. Non sono elencabili tutti i grandi nomi con i quali hanno suonato o avuto una qualche relazione o almeno scambi di vedute sui grandi temi della musica,  menzionando tra gli ultimi Bill Cobham e Charlie Watts dei Rolling Stones. Parlando della genesi creativa dei pezzi, Bob Mintzer ci ha spiegato come il gruppo sia privo di leader, tutti stando sullo stesso piano. L’idea compositiva iniziale può nascere da ciascuno di loro e viene poi elaborata in gruppo, spesso arrivando a qualcosa di molto diverso dallo spunto iniziale. Aggiungiamo noi che l’esperienza di Ferrante e Mintzer viene comunque fuori dai quattro. Su quanto in percentuale vi sia di strutturato e quanto di improvvisazione Bob ha voluto rimanere nel vago, evidenziando come ogni serata sia diversa dall’altra per dare al pubblico una dovuta sensazione di spontaneità.

Nello scorrere del tempo di questa longeva formazione, membri fondatori, innesti o collaborazioni eccellenti hanno contribuito a fare la storia del gruppo, da Robben Ford a Bobby McFerrin, a Peter Erskine ed altri. L’attuale indirizzo ci sembra, pur restando tra jazz di maniera e fusion, meno contaminato di altre formazioni che attingono oggi ad inglobamenti ad esempio etnici, testimoniato anche dalla recente incisione Cohearence. In conclusione una delle più autorevoli formazioni di musica jazz  viste a Formia, grazie alla passione e all’impegno dell’associazione Jazzflirt. Un pubblico attento ha spesso scandito con applausi l’esibizione, e molti cd sono stati firmati alla fine del concerto. Dopo l’Italia prossime tappe nella tournée di settembre a Washington DC e New York.

Giuseppe Grassi

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