Fin dal 1935, Itri è stato un grande set naturale per molti film, più o meno famosi, e di argomenti diversissimi, che posero la cittadina aurunca all’attenzione dei registi e dei produttori cinematografici.

   Numerose sono state le pellicole girate ad Itri, quasi tutte di qualità, qualcuna vincitrice di Oscar.

   Il primo film ambientato nel civettuolo centro del basso Lazio, in località “La Magliana”, nel 1935, fu “I cospiratori del golfo” (“Re Burlone”), in bianco e nero, 87’, realizzato da Enrico Guazzoni, con Armando Falconi (il mite, pacifico Ferdinando II, un re un pò istrionico), Luisa Ferida (Nennella), Diana Lante (Rosalìa Mirabella), Maria Denis (Fania), Luigi Pavese (un capitano), Mario Pisu (un altro capitano), Luigi Cimara, Nicola Maldacea (Gennarì), Paolo Stoppa, Achille (nei titoli è Dante), Majeroni, Ellen Meis, Giorgio Locchi (il figlio del sovrano), che, in seguito, diventerà un famoso doppiatore.

   Nonostante le attività sociali e culturali dovute al re Ferdinando II, tra cui l’“Orto Botanico”, l’ “Osservatorio Astronomico”, l’“Albergo dei Poveri”, in Piazza Carlo III, la Casina del Chiatamone, la Casina di Pesca di Posillipo, San Leucio, l’apertura della ferrovia Mapoli-Caserta, alcuni ufficiali intendono rapire il sovrano per costringerlo a concedere la Costituzione. I due capitani cospiratori sono scoperti ed arrestati. Essi, però, grazie all’aiuto di tre donne, riescono ad evadere dalla prigione di Gaeta mettendosi in salvo.

   La pellicola, una singolare miscela tra film storico e commedia da viale cittadino, è tratta dalla pièce del drammaturgo bresciano Gelrolamo Rovetta, sceneggiata da Guglielmo Giannini, il fondatore del movimento politico “l’Uomo qualunque” (1945), di breve durata.

    Nel 1942 Renato Simoni ed Umberto Scarpelli girarono, ancora a “La Magliana”, gli esterni di un film su Napoleone Buonaparte, intitolato “Sant’Elena, piccola isola” (originariamente il titolo era “Napoleone a S. Elena”), in bianco e nero, 82’, uscito l’anno dopo, in pieno periodo bellico, interpretato da Ruggero Ruggeri (Napoleone Buonaparte in esilio), Lamberto Picasso ( il governatore inglese dell’isola africana,, sir Hudon Lowe, severo, insensibile carceriere dell’imperatore), Mario Brizzolari (il generale Charles-Tristan de Montholon, che lasciò scritto il “Racconto della prigionìa di Napoleone a Sant’Elena”), Luigi Cimara (il maresciallo Henri-Gratien Bertrand, che si mantenne, fino alla fine, fedele aql suo imperatore seguendolo nella dolorosa relegazione ed assistendolo nell’ora del trapasso), Salvo Randone (generale Gaspard Gourgaud, autore del famoso “Journal inédit de S.te-Hélène”), Carla Candiani, Rubi Dalma, Paolo Stoppa, Elsa De Giorgi, Mercedes Brignone, Rosetta Tofano, Renato Cialente, Franco Becci ( Emmanuel-Augustin Dieudonné, conte di Las Cases, il cui “Mémorial de Sainte-Hélène, del 1822-23, è importantissimo, ma assai tendenzioso), Alberto Sordi, che impersona un ufficiale britannico.

   E’ la sola pellicola diretta dal commediografo, critico e regista teatrale veronese, che utilizza i diari del console a vita e un testo teatrale di Otello Pagliai. Nel film, in evidenza, l’attore marchigiano Ruggero Ruggeri, acclamato interprete shakespeariano, pirandelliano e dannunziano, che dà il volto e la voce ad un oirascibile, disperato Napoleone, circondato da ufficiali francesi e da familiari, non sempre fedeli, angustiati dalla gelosia nei confronti del grande capitano-conquistatore, con i quali l’uomo di Ajaccio deve fare i conti nell’esilio in riva all’Oceano Atlantico meridionale. Ruggero Ruggeri, attore dalle mille risorse, fornisce una mirabile interpretazione, grazie al suo umano sentire e al gesto parco e misurato, quando non è colto dalla collera.  

   “La sceneggiatura, di Oreste Biancoli ed Ettore M. Margadonna, come sostiene Paolo Mereghetti, non risparrmia battute contro l’insensibilità inglese, in evidente sintonìa con lo spirito patriottico di un paese allora in guerra”. Ispirata all’iconografia neoclassica, è la fotografia di Mario Bava, con la luce messa perfettamente a fuoco.

   Renato Simoni venne ad Itri per vedere la casa di “Fra’ Diavolo”, polverizzata poi dalle bombe americane nell’ultima guerra mondiale, e fu Michele Pezza, pronipote dell’omonimo colonnello borbonico e duca di Cassano allo Ionio, veterinario provinciale presso la Prefettura di Benevento, oltre che dottore in lettere, che gli fece da guida nel caratteristico centro collinare e che non mancò mai di scendere in difesa della reputazione e della memoria del celebre avo, come avvenne in uno scontro giornalistico con Giulio Caizzi, dimostrando che il Pezza non fu un brigante, ma un generoso patriota, che combatté per la propria terra contro gli imvasori francesi, il quale ebbe la disgrazia di un nome tanto suggestivo, preda di gente che ignora, in maniera assoluta, le gesta di chi lo portò.

Napoleone Bonaparte, a distanza di due secoli circa, conserva intatta quella fama che gli è stata creata da un’enfasi caricata dalla propaganda di parte, che, dal passato, è arrivata fino a noi. La verità è ben altra: la sete di potere e di “grandeur” del Corso travolse e schiacciò nazioni, Paesi e popoli, senza remore morali di alcun genere. Nell’Italia che l’ammirò e che inutilmente cercò nel “terrorista corso” la prima luce dell’unità nazionale del Paese, commise nefandezze inenarrabili. D’altra parte lui non si sentiva italiano. Il Bel Paese di allora fu per lui terra di conquiste, di prede e di massacri.

   Nel 1950 Giuseppe De Santis girò a Fondi, Itri e Sperlonga “Non cè pace tra gli ulivi”, su sceneggiatura dello stesso De Santis, di Libero De Libero e dei futuri cineasti Gianni Puccini e Carlo Lizzani. Il film, di 100’, menzione speciale al VI Festival di Karlovy Vary, nel 1951, ha come attori Raf Vallone (Francesco Dominici), Lucia Bosè (allora solo diciannovenne, nel ruolo di Lucia Silvestri), Folco Lulli (Agostino Bonfiglio), Maria Grazia Francia ( Maria Grazia Dominici), Dante Maggio (Salvatore Capuano), Michele Riccardini (maresciallo), Vincenzo Talarico (difensore di Dominici), Piero Tordi (Don Gaetano Bertarelli).

   Un pastore, Francesco Dominici, reduce della seconda guerra mondiale, trova la famiglia in miseria, depredata da Agostino Bomnfiglio, un usuraio che si è arricchito con abigeati e con strozzinaggi. Egli decide di riprendere la roba sua, facendosi giustizia da sè rompendo l’omertà dei pastori e della sua stessa fidanzata, Lucia Silvestri. “Non cè pace tra gli ulivi”, che, secondo Citto Maselli, è “una totale astrazione metaforica calata a Fondi, nel mondo contadino”, mostra conflitti e passioni di un mondo arcaico, la violenza di sempre, con “sequenze scandite su ritmi gravi e lenti, ricerche di contrasti pittorici e figurativi essenziali, come nella processione di nozze che si snoda fra le strade del villaggio (Sperlonga, n. d. r.), tutte bianche ma abitate da gente tutta vestita di nero”.

   Nel 1957 Antonio Pietrangeli diresse il film “Souvenir d’Italie”, con la composta inglesina Margare (June Laverick), la francese Josette (Isabelle Corey), un briciolo di mitomania, esibizionista, con la riflessiva tedesca Hilde (Inge Schoener), Vittorio De Sica, Alberto Sordi, Massimo Girotti, Gabriele Ferzetti, Mario Carotenuto, Antonio Cifariello. Tre turiste straniere, in viaggio per l’Italia, per un guasto alla loro macchina, sono costrette ad arrangiarsi con mezzi di fortuna. Le autostoppiste  conoscono così i cosiddetti “vitelloni” di provincia, oziosi o fatui. La vivace, brillante comediola, ricca di trovate, sceneggiata da Age, Scarpelli, Dario Fo, che nel film interpreta la guida del castello, e dallo stesso Pietrangeli, demolisce l’aspetto mistificatorio del vitellonismo evitando la solita cartolina illustrata. Proprio ad Itri le tre autostoppiste straniere fanno conoscenza del pappagallismo di alcuni giovani del Bel Paese, con cui intrecciano flirts più o meno seri o vincolanti (per due delle tre autostoppiste, che incontrano l’amore, sarà una vacanza indimenticabile ).

   Il periodo d’oro delle riprese cinematografiche ad Itri è stato neli anni Sessanta divenendo il paese di  “Fra’ Diavolo” una sorta di succursale di Cinecittà. Abbiamo già scritto, nel numero precedente del giornale, de “La ciociara”, pellicola girata nel 1960.

   Un anno dopo, viene girato sulle montagne di Itri, nei pressi del secolare santuario della Madonna della Civita, “I due nemici dell’Africa Orientale”, di Guy Hamilton, con David Niven, Alberto Sordi, Amedeo Nazzari, Michael Wilding, Harry Andrews, Aldo Giuffré, Tiberio Mitri. Il film, a colori, della durata di 104 minuti, è ambientato in Abissinia, a 10 km. da Addis Abeba, durante la seconda guerra mondiale: il capitano Blasi (Sordi) facilita la fuga di un suo prigioniero, un ufficiale britannico ( Niven ), affinché riferisca ai  suoi superiori di grado dell’esiguità delle forze del reparto italiano e li dissuada dall’inseguirli. Accade il contrario: essi, ignorando il consiglio, catturano l’intero reparto. Di fronte al comune pericolo degli indigeni ribelli, italiani ed inglesi, che hanno imparato, benché nemici, ad apprezzarsi, affrontano, uniti, il nemico. Essi solidarizzano tra di loro, instaurando un sentimendo di fratellanza, di vicendevole aiuto. Una pellicokla piacevole, molto amata dai cinofili, la quale “ironizza con un certo garbo sulla mitologia della guerra e del nostro glorioso passato”, come scrive il già citato Paolo Mereghetti in “Dizionario del film 1998”, guida del cinema insostituibile, che dovrebbe stare in ogni casa del Paese.

   Nel  1966 John Marcellus Huston girò, anche questa volta a “La Magliana”, “La Bibbia”, con Michael Parks (Adamo, il progenitore dell’umanità, cacciato dal Paradiso Terrestre, insieme con la sua compagna Eva, per aver ascoltato il consiglio di Lucifero), Ulla Bergryd (la prima donna plasmata da Dio dalla costola di Adamo, che causò il peccato originale, per aver mangiato il frutto proibito dall’albero del bene e del male,  per suggestione del Demonio, sotto forma del serpente), Richard Harris (Caino, il primogenito di Adamo e di Eva, che fu maledetto ed errò per tutta la terra), Franco Nero (Abele, secondogenito di Adamo e di Eva, ucciso dal fratello maggiore, invidioso, secondo la Genesi, della predilezione mostratagli da Dio), Stephen Boyd (il Nimrod della torre di Babele, tempio meraviglioso, fondato, secondo la Bibbia, dai discendenti di Noè), George G. Scott (un concreto, solido Abramo), Ava Gardner (sensuale, segnata, ma anche raccolta e severa nei panni di Sara, la moglie di Abramo, che, in tarda età, generò Isacco, che divenne il legittimo erede di Abramo), Gabriele Ferzetti (un Lot abbastanza incisivo), Eleonora Rossi Drago (la moglie di Lot, che, di fronte ai suoi occhi atterriti, si trasforma in una statua di sale, per essersi voltata, per curiosità, a guardare la città di Sodoma, nonostante il divino divieto), Peter O’ Toole (l’Angelo di Dio che si reca a Sodoma per avvertire Lot che la città sarà distrutta) e ancora Pupella Maggio, Grazia Maria Spina e lo stesso John Huston, che interpreta con ironia, con furbastri ammiccamenti, con tic, con gustose caratteruizzazioni, alla misura  dell’uomo e non di Dio, non soverchiato, non schiacciato dall’alto, l’episodio di Noè, il patriarca, il giusto salvato, nel diluvio universale, dall’arca, insieme a tutta la sua famiglia e a una coppia di tutti gli animali viventi.