Manovra economica, il nodo previdenza: pensioni più lontane e laurea meno “utile”

Tra finestre più lunghe e minore peso degli anni di studio, il governo interviene sul sistema previdenziale senza cambiare l’età pensionabile.

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La previdenza torna al centro del dibattito politico con la nuova manovra economica, che ridisegna in modo significativo il percorso verso la pensione. Le scelte del governo puntano alla sostenibilità dei conti pubblici, ma il prezzo da pagare sembra essere un ulteriore allungamento dei tempi di uscita dal lavoro, soprattutto per le generazioni più giovani e per chi ha investito negli anni di studio universitari.

Il primo intervento riguarda le pensioni anticipate. Senza modificare formalmente i requisiti anagrafici o contributivi, l’esecutivo agisce su un meccanismo meno visibile ma altrettanto incisivo: le cosiddette “finestre” di accesso. In pratica, anche una volta maturati i requisiti, il lavoratore dovrà attendere più mesi prima di iniziare a percepire l’assegno pensionistico. Una dilazione che, sommata nel tempo, rischia di trasformarsi in un vero e proprio slittamento dell’uscita dal lavoro.

L’obiettivo dichiarato è quello di frenare il ricorso alla pensione anticipata e di contenere la spesa previdenziale in un Paese che invecchia rapidamente. Tuttavia, per molti lavoratori questa scelta si traduce in una sensazione di incertezza: le regole restano formalmente le stesse, ma il traguardo si allontana di fatto.

Ancora più delicata è la questione del riscatto della laurea. Per anni, il riscatto degli studi universitari è stato visto come uno strumento per valorizzare il percorso formativo e, allo stesso tempo, per recuperare anni utili ai fini pensionistici. Con la manovra, questo meccanismo perde progressivamente efficacia. Gli anni di studio riscattati continuano a pesare sul calcolo dell’assegno, ma contano sempre meno per raggiungere in anticipo i requisiti pensionistici.

Il messaggio che arriva ai giovani è ambiguo: da un lato si ribadisce l’importanza della formazione, dall’altro si riduce uno dei pochi strumenti che permetteva di non “pagare due volte” il tempo trascorso all’università. Una scelta che rischia di scoraggiare il riscatto della laurea e di rendere ancora più frammentato il rapporto tra studio, lavoro e pensione.

Sul piano politico e sociale, le misure hanno riacceso il confronto con i sindacati, che parlano di un sistema sempre più rigido e poco attento alle carriere discontinue. La critica principale è che, ancora una volta, l’aggiustamento dei conti passa attraverso interventi indiretti, che colpiscono soprattutto chi ha meno margine di scelta: lavoratori prossimi alla pensione, giovani con carriere precarie, professionisti che hanno investito anni nella formazione.

La manovra, nel suo complesso, non stravolge il sistema previdenziale, ma ne modifica l’equilibrio. Non alza ufficialmente l’età pensionabile, ma rende più lungo e complesso il percorso per arrivarci. E mentre il governo rivendica la necessità di garantire la tenuta dei conti pubblici, resta aperta la domanda di fondo: fino a che punto la sostenibilità finanziaria può reggere senza una parallela sostenibilità sociale?