Spunta la “tassa sull’oro”: l’Italia studia una misura per far emergere l’oro fisico – C’è un vecchio detto popolare: “Quando tutto vacilla, l’oro non tradisce.”
Forse è proprio per questo che, negli ultimi decenni, nelle case degli italiani sono finiti lingotti grandi come carte di credito, monete d’epoca, placchette più o meno raffinate. Un patrimonio sommerso, custodito tra cassette di sicurezza e fondi di cassetti, che oggi il governo vorrebbe far “riemergere” con una mossa tanto inaspettata quanto calcolata: una tassa agevolata del 12,5% sulla rivalutazione dell’oro fisico da investimento, valida solo per chi si presenta entro il 30 giugno 2026.
Non un’imposta punitiva, ma una sorta di “invito alla trasparenza” formulato con voce suadente.
Perché ora? Perché la manovra economica 2026 ha fame di risorse e l’oro, nell’immaginario comune, è da sempre sinonimo di ricchezza dormiente. Svegliare quella ricchezza potrebbe valere, secondo le stime più ottimistiche, fino a due miliardi di euro. A patto che gli italiani decidano di fidarsi.
La proposta è semplice: chi possiede oro fisico — lingotti, placche, monete da investimento — può “regolarizzare” il proprio tesoro pagando un’aliquota ridotta, molto più bassa del 26% che si applica normalmente alle plusvalenze quando l’oro viene venduto.
Una specie di “finestra di confessione fiscale”, ma dai toni morbidi, quasi rassicuranti: niente multe, niente complicazioni, solo un’imposta calmierata e la promessa di una maggiore serenità patrimoniale.
Chi pensa a complicate operazioni di borsa può rilassarsi: l’oro cartaceo — ETF, certificati, strumenti finanziari — resta fuori dal perimetro. Il provvedimento guarda solo agli oggetti fisici, al metallo concreto, quello che si può pesare, toccare, tenere in un palmo di mano.
La tassa sull’oro un condono mascherato? Il dibattito si accende
Ovviamente l’idea non è passata inosservata. C’è chi parla di “condono elegante”, perché chi non ha dichiarato il proprio oro finora potrebbe cavarsela con un’aliquota di favore.
D’altra parte, sostengono i promotori, è proprio questo l’obiettivo: far emergere ciò che oggi non esiste per il fisco. E per farlo, serve un incentivo che attiri anche i più diffidenti.
Dietro la proposta c’è un ragionamento politico molto concreto: ogni voce della manovra è un equilibrio delicato, e il gettito derivante dall’oro permetterebbe di alleggerire pressioni su altri fronti più sensibili, dai dividendi alle locazioni brevi.
Il vero nodo, però, è uno soltanto: chi si presenterà davvero?
L’oro non è come il denaro liquido: è un bene emozionale, identitario quasi. Per molti rappresenta un salvagente psicologico più che un investimento. E confessare il proprio scrigno, anche in cambio di un risparmio fiscale, non è una scelta scontata.
Se l’adesione sarà robusta, il Tesoro potrà brindare.
Se sarà timida, la misura rischia di trasformarsi in un lampo d’oro senza riflessi sul bilancio.
Una scommessa sul metallo più antico
Di fatto, il governo sta tentando un esperimento curioso: usare la forza simbolica dell’oro — la sua immutabilità, la sua aura di sicurezza — per trasformarlo in una risorsa economica concreta, spendibile, immediata.
Un patto implicito tra Stato e cittadini: tu mi mostri il tuo oro, io lo tassò poco e insieme facciamo quadrare i conti.
Riuscirà questo patto a convincere un popolo che, da sempre, considera l’oro un bene da custodire più che da dichiarare? La risposta, scintillante o opaca, arriverà nei prossimi mesi.
E solo allora sapremo se questa nuova tassa sarà ricordata come un colpo di genio… o come un brillante lasciato opaco nel buio dei cassetti.













