Il Condono Edilizio 2026: tra riapertura, polemiche e contraddizioni

Una sanatoria che divide: tra necessità quotidiane e il rischio di premiare gli abusi

0
239

Il Condono Edilizio 2026: tra riapertura, polemiche e contraddizioni – Il dibattito sul cosiddetto “condono edilizio 2026” è esploso nei corridoi del Parlamento e nei media nazionali, alimentato da una serie di emendamenti alla Legge di Bilancio che rischiano di segnare una svolta importante nella normativa sull’abusivismo, con conseguenze potenzialmente di vasta portata. Ogni volta che si parla di sanatorie, il Paese si spacca: da una parte chi attende da anni di regolarizzare una tettoia, un balcone o una pertinenza costruita fuori norma; dall’altra chi teme che ogni condono non sia altro che un incentivo implicito a reiterare comportamenti illeciti.

Quest’ultima proposta – quella della sanatoria 2026 – è particolarmente complessa perché intreccia motivazioni tecniche, esigenze amministrative e un evidente peso politico. Alla base della proposta c’è l’idea di riaprire e allo stesso tempo ampliare il perimetro di vecchie sanatorie, consentendo di regolarizzare opere già concluse da tempo, spesso rimaste sospese in un limbo amministrativo. L’ipotesi sul tavolo riguarda soprattutto interventi di piccola entità: porticati, tettoie, logge aggiunte senza permesso, ristrutturazioni con modifiche interne non sostanziali.

Non si parla, quindi, delle grandi costruzioni abusive che negli anni hanno deturpato intere aree del Paese: quelle resterebbero fuori dal perimetro della sanatoria. È un condono “leggero”, almeno nelle intenzioni, concentrato sugli abusi di scala domestica che, pur non potendo essere ignorati, non modificano radicalmente l’aspetto di un territorio.

Al centro del meccanismo ci sarebbe anche una revisione del principio di doppia conformità, uno dei nodi tecnici più controversi del diritto urbanistico. L’idea è semplificare un percorso che oggi spesso blocca le regolarizzazioni per mere questioni formali, pur in presenza di opere che potrebbero essere tollerate.

La politica tra divisioni, calcoli e ambiguità

Come sempre, però, la tecnica non basta a spiegare una proposta di questo tipo. La spinta verso il condono nasce anche dal tentativo di rispondere a un bisogno molto diffuso: quello di chi, da vent’anni, attende che la sua pratica venga chiusa. Molti comuni, infatti, non hanno mai terminato l’esame delle domande presentate nei condoni precedenti. In alcuni territori – quelli dove l’abusivismo edilizio è stato più radicato – migliaia di cittadini vivono in una condizione sospesa, con immobili difficili da vendere, ristrutturare, ereditare.

Su questo sfondo si muovono i partiti della maggioranza, non sempre compatti: c’è chi vede nel condono un modo per alleggerire la pressione sugli uffici tecnici e per “mettere ordine” una volta per tutte, e chi invece teme che la misura venga percepita come un regalo politico, poco digeribile da un’opinione pubblico sensibile al tema della legalità. È uno scontro sotterraneo, ma significativo, perché riguarda l’identità stessa dei partiti e il loro rapporto con alcuni territori chiave.

Le perplessità: un déjà-vu che l’Italia conosce bene

Ogni nuova sanatoria porta con sé critiche note. I detrattori sostengono che un condono, per quanto limitato agli “abusi minori”, rischi sempre di legittimare l’idea che in Italia convenga “fare prima e chiedere perdono poi”. Ma oltre al giudizio etico, ci sono preoccupazioni molto pratiche. I comuni, chiamati a chiudere vecchie pratiche e gestirne di nuove, rischiano di trovarsi nuovamente in difficoltà. In molte amministrazioni gli uffici edilizi sono sottodimensionati, oberati da contenziosi e da richieste di autorizzazioni ordinarie che già non riescono a smaltire.

La scadenza fissata per concludere le pratiche arretrate appare ambiziosa: è difficile immaginare che, senza nuovi strumenti, i tecnici comunali possano davvero completare in pochi mesi ciò che non è stato chiuso in decenni. Il tema del condono edilizio tocca corde profonde della storia urbanistica italiana. Da un lato c’è la necessità – anche sociale – di dare una risposta a chi vive in una casa che, per un dettaglio tecnico o una leggerezza del passato, rischia di rimanere “irregolare” per sempre.

Dall’altro c’è la consapevolezza che ogni condono lascia un segno, un precedente, un messaggio culturale. E quel messaggio può risultare pericoloso se alimenta l’idea che il rispetto delle regole sia un optional. La verità, forse, è che il Paese paga ancora oggi l’assenza storica di politiche urbanistiche chiare, di controlli efficaci e di strumenti amministrativi adeguati. Ogni condono diventa così non una scelta, ma una toppa: la soluzione temporanea a un problema strutturale che nessuno ha mai affrontato in profondità.

In attesa della versione finale

La sanatoria 2026 è ancora in discussione e potrebbe cambiare volto più volte prima di approdare al voto definitivo. Quel che è certo è che rappresenta una sorta di prova generale: un test sulla capacità del legislatore di coniugare realismo amministrativo e coerenza con il principio di legalità.

Sarà decisivo capire se il provvedimento riuscirà davvero a risolvere le situazioni pendenti, senza spalancare la porta a nuovi abusi. Una linea sottile, difficile da tracciare, su cui il Governo e il Parlamento stanno camminando con cautela.