Quando scocca la mezzanotte del 31 dicembre, sulle tavole italiane non può mancare un piatto di lenticchie. Una tradizione apparentemente semplice, ma che porta con sé secoli di storia, simboli e significati. Oggi è un rito gastronomico diffuso da Nord a Sud, ma le sue radici affondano nell’antica Roma.
Già in epoca imperiale, infatti, era consuetudine donare una scarsella, un piccolo sacchetto di cuoio pieno di lenticchie secche. Il gesto non era casuale: la forma tondeggiante e schiacciata del legume ricordava le monete e si pensava che, con il nuovo anno, potessero trasformarsi in denaro. Un augurio di ricchezza, dunque, ma anche di abbondanza in senso più ampio.
Durante il Medioevo, la simbologia delle lenticchie si arricchisce: non solo fortuna, ma anche fertilità, salute e protezione divina. In un’epoca in cui il cibo era spesso poco e prezioso, un legume resistente e nutriente diventava anche metafora di speranza per un futuro migliore.
È soprattutto a partire dall’Ottocento, però, che la tradizione si consolida nella forma che conosciamo oggi: lenticchie servite con cotechino o zampone, piatti tipici del Nord Italia che, col tempo, si sono diffusi in tutta la penisola. Il maiale, animale simbolo di abbondanza e generosità, accompagna le lenticchie per rafforzarne il valore propiziatorio.
Oggi la tradizione resiste, anche tra chi non è particolarmente superstizioso. La notte di San Silvestro, il gesto di mangiare lenticchie resta un modo per iniziare l’anno con un piccolo rito di buon auspicio, spesso condiviso in famiglia o tra amici.
Un legume semplice, ma dal significato profondo, che ogni anno riappare nei nostri piatti come una promessa: quella di un anno più prospero, più felice, più ricco — in ogni senso.













