Dj Claudio Coccoluto, dal Seven Up al successo planetario

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Un libro racconta l’ascesa del dj di Gaeta che ha fatto la storia del clubbing

Nel 1992 l’autorevole rivista londinese «Mix mag» inserì un deejay italiano nella top ten dei maghi del mixer: si trattava di Claudio Coccoluto. La bravura di questo dj nato a Gaeta nel 1962 e morto a Cassino qualche anno fa, nel 2021, aveva varcato i confini, conquistando una delle capitali mondiali della musica house. Il libro scritto dal giornalista Pierfrancesco Pacoda e lo stesso Claudio Coccoluto – IO, DJ PERCHÈ IL MONDO È UNA GIGANTESCA PISTA DA BALLO – a cura di Gianmaria Coccoluto (Baldini+Castoldi, 2022 – versione aggiornata della prima edizione del 2007 Einaudi), ripercorre la storia e la filosofia alla base della produzione musicale di Claudio Coccoluto: dai suoi esordi a Radio Luna, tredici anni, passando per il Seven Up di Formia, poi Napoli e il successo mondiale. Un artista per cui hanno scritto importanti testate giornalistiche italiane (Il Sole 24 Ore, La Stampa, L’Espresso tanto per citarne qualcuna) e che ha collaborato con gente come Jovanotti e Alex Neri, dei Planet Funk. Teorico della dance, patriarca della house nazionale, rinnovamento elettronico, sapori black, dj in grado di portare l’esperienza del rave all’interno del club.

Un giorno il proprietario di Radio Luna (pioneristica radio libera) disse a Coccoluto di voler aprire un locale proprio a Formia e di volerlo coinvolgere nel progetto. Era il Seven Up, uno spazio enorme -come racconta Claudio nel libro- di cinquemila persone, una delle discoteche più grandi d’Europa, pullman che arrivavano da tutta Italia, un vero, infinito pellegrinaggio del sabato sera. Un colpo vincente, un luogo mitico dove il nostro dj suonerà nella prima metà degli anni Ottanta. Lo farà anche all’Histeria di Roma, club che negli ’80 era ai vertici delle notti capitoline. Claudio Coccoluto è stato uno sperimentatore, un avanguardista della dance: ne è felice esempio l’esperienza del Cube, a Napoli. Riuscì a portare al Cube dj come David Morales, Todd Terry, Frankie Knuckles, padri spirituali della club-culture.

Il libro racconta con vivacità -è Claudio Coccoluto a scrivere in prima persona con riflessioni, spunti e spiegazioni di Pierfrancesco Pacoda- della sua vita da nomade per i locali italiani ed europei. Il Goa di via Libetta, a Roma. La riviera romagnola, con il Cocoricò, l’Echoes e il Peter Pan. A Londra, l’Heaven -uno stanzone rettangolare dalla forte connotazione gay – e il leggendario Ministry of Sound, considerato una pietra miliare della cultura house e della club-culture globale. Ibiza, dove Coccoluto diventa protagonista della scena house. Il set a Manila, nelle Filippine, nel 2000. Non solo musica ma anche arte, con l’avvicinamento di Coccoluto alle opere di Mimmo Rotella, maestro della pop art italiana.

Il racconto è emozionante, pieno di passione e, con linguaggio nitido, fa comprendere termini come Electroclash, House, Minimal, Sound system, Techno. Un bel viaggio nella filosofia del suono di Coccoluto e le origini di questo mondo musicale. La nascita a Chicago dell’house (che guarda alla tradizione soul) a metà anni Ottanta e, sempre nello stesso periodo, della techno a Detroit. L’importanza di Manchester per la acid house, la stessa città dove era nata la new wave dei Joy Division. Napoli come tappa irrinunciabile del primo nomadismo dance, proprio come New York e Londra. Narrazione arricchita da molte foto, tra cui spiccano quella del Premio come Migliore Artista Dance, Italian Music Awards e quella con un Gianmaria, piccolo e assieme al padre, al Goa Club. Imperdibile!