Il Cisternone di Castellone: quarant’anni dalla riscoperta del tesoro sotterraneo di Formia

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Il Cisternone romano di Formia

Il Cisternone di Castellone: quarant’anni dalla riscoperta del tesoro sotterraneo di Formia – Nel cuore del quartiere storico di Castellone, a Formia, si trova un’opera tanto imponente quanto nascosta: il Cisternone Romano. Questa vasta cisterna sotterranea, risalente all’età imperiale, ha rappresentato per secoli una delle più straordinarie ma misconosciute testimonianze dell’ingegneria idraulica romana.

Sebbene il sito fosse noto da tempo, e fosse già stato esplorato nel corso dei decenni passati, è solo nella primavera del 1985 che un gruppo di appassionati – il Gruppo “Studi e Ricerca” di Castellone – effettuò la prima mappatura sistematica e dettagliata dell’intera struttura. Si trattò della prima vera documentazione sul campo realizzata con metodo e continuità, che portò alla riscoperta del valore storico e archeologico del sito. Il Cisternone, situato nei pressi di Piazza S. Anna e accessibile tramite un ingresso secondario in Vico Traiano, era già stato oggetto di esplorazioni precedenti. Tra tutte, si ricordano quelle di Pasquale Mattej e del Podestà di Formia Felice Tonetti. Quest’ultimo negli anni Trenta del secolo scorso organizzò alcuni sopralluoghi, documentando la presenza della grande cisterna e tentando una prima ricognizione. Tuttavia, si trattò di esplorazioni parziali, più aneddotiche che sistematiche, e non fu mai realizzata una planimetria precisa né uno studio dettagliato dell’ambiente sotterraneo.

Il 30 marzo 1985, un gruppo di giovani riuniti nel sodalizio culturale “Studi e Ricerca di Castellone” decise di scendere nuovamente nel Cisternone. L’accesso avvenne dalla botola di Vico Traiano, e dopo aver ricevuto un permesso dal Comune e il supporto della Guardia Municipale, calarono nel tombino la macchina fotografica che con l’autoscatto immortalò le prime immagini dell’antica cisterna.

Il Cisternone nei primi giorni della riscoperta

Nei sopralluoghi successivi, in particolare il 20 aprile e il 5 maggio 1985, il gruppo effettuò rilievi topografici più precisi. Lo scenario era surreale. Le tre navate scandite da pilastri in tufo, la volta a botte perfettamente conservata, le pareti intonacate con cocciopesto e la presenza dell’acqua conferivano al luogo un’atmosfera sospesa nel tempo. Armati di corde e piccoli canotti gonfiabili, i membri del gruppo iniziarono la navigazione tra i pilastri, effettuando rilievi e misurazioni. Fu in quell’occasione che si scoprì la reale estensione del Cisternone: una superficie utile di circa 60 metri di lunghezza per 29 di larghezza, con un’altezza variabile da un minimo di 1,50 metri a un massimo di 3,50 metri.

Utilizzando strumenti artigianali, corde e strumenti di misura, riuscirono a redigere una pianta dettagliata del sito, che fu poi pubblicata in un articolo nel periodico “L’Altra Formia”. Si trattò della prima vera mappatura del Cisternone, che metteva in evidenza la suddivisione in navate, la posizione dei pilastri, le botole d’accesso e i punti critici dell’infrastruttura.

Durante l’ultima esplorazione, avvenuta il 5 maggio, il gruppo effettuò anche delle misurazioni sul livello dell’acqua, che si attestava a circa 1,50 metri in alcuni punti e a 3,50 metri in altri. Questi livelli d’acqua erano dovuti al fatto che sul fondo della cisterna si erano accumulati detriti nel corso dei secoli, rendendo difficile l’accesso a piedi. L’utilizzo dei canotti si rivelò fondamentale per raggiungere anche le zone più profonde e remote, e per verificare l’integrità strutturale della volta e delle pareti.

Ogni passaggio, ogni nuova misura tracciata sulle planimetrie, portava con sé un senso di conquista. Si trattò di un’impresa che univa rigore scientifico e spirito d’avventura, capace di accendere nei partecipanti l’entusiasmo di chi, pur senza titoli ufficiali, agiva mossi da un profondo rispetto per la storia della propria città.

Il Cisternone di Castellone rappresenta uno degli esempi meglio conservati di cisterna romana a livello europeo. La tecnica costruttiva è affine a quella di altri grandi serbatoi d’acqua, come quelli di Napoli o Istanbul, ma si distingue per la sua semplicità strutturale e l’uso sapiente dei materiali locali.

Il rivestimento in cocciopesto garantiva l’impermeabilità delle pareti, mentre i pilastri in tufo sostenevano una copertura a volta che, ancora oggi, non presenta segni di cedimento. L’intera struttura fu probabilmente concepita per raccogliere l’acqua piovana e distribuirla alla città attraverso una rete di condutture, oggi non più visibili. Ciò che rese unica l’iniziativa del Gruppo “Studi e Ricerca” fu l’approccio metodico e la volontà di sensibilizzare l’opinione pubblica. Nei loro resoconti, pubblicati sul giornale locale, sottolineavano la necessità di tutelare e valorizzare il sito. Lungi dall’essere un’avventura occasionale, quella esplorazione fu un atto civile, un richiamo alle autorità affinché non si disperdesse un patrimonio di tale portata. Nonostante l’assenza di tecnologie avanzate, il lavoro fu preciso e scrupoloso. L’iniziativa ebbe risonanza anche tra gli abitanti del quartiere, molti dei quali ignoravano l’esistenza della cisterna o la credevano ormai inaccessibile.

Le misurazioni e la mappatura realizzate dal Gruppo “Studi e Ricerca” furono fondamentali per il recupero del Cisternone. Grazie al loro lavoro, il sito tornò a essere oggetto di attenzione da parte delle istituzioni, che avviarono nel 2002 un progetto di recupero e restauro. Il Cisternone fu così restituito alla comunità, diventando un luogo visitabile e inserito nei circuiti turistici locali. Oggi, rappresenta un tassello fondamentale per comprendere l’evoluzione urbanistica di Formia dall’età romana ai giorni nostri. Il merito fu anche dei giovani esploratori del 1985, che con passione, metodo e spirito di servizio resero visibile ciò che era nascosto sotto i nostri piedi.