In Giappone si parla di lui. Antonio di Ciaccio e la sua arte finiscono sulle pagine del Ryoritsushin, rivista specializzata in prodotti alimentari d’eccellenza

(https://r-tsushin.com/it/journal/ilgolosario/lazio_pasticciere_202009.html).

Non ci sorprende che il giornalista nipponico sia rimasto sconvolto dalla bellezza della città di Gaeta e del suo golfo, né ci stupisce che abbia notevolmente apprezzato i dolci e i biscotti magistralmente prodotti dalla pasticceria gaetana Di Ciaccio, la cui qualità superiore è già nota nel nostro territorio e non solo, e soprattutto l’Antico Savoiardo, un biscotto sì, ma con le caratteristiche proprie di un dessert, da consumare preferibilmente accompagnato da creme e liquori.

 Tantomeno, non riteniamo stravagante la confusione del giornalista derivante dal ritrovare, a Gaeta, nel centro Italia, un prodotto con origini tutto sommato lontane, rinvenibili persino nel nome: il savoiardo. Questo biscotto, secondo la teoria prevalente, fu prodotto per la prima volta nel XIV secolo, dal cuoco della corte di Amedeo VI di Savoia.

Antonio Di Ciaccio

Quest’ultimo soprannominato il Conte Verde, fu Conte di Savoia e Conte d’Aosta e Moriana dal 1343 al 1383. Nato a Chambery il 4 gennaio 1334, deceduto 1 marzo 1383 a Campobasso, coniugato con Bona di Borbone.

Tale fu il successo di quel dolce, che i reali di Casa Savoia decisero di adottarlo come dolce ufficiale del Regno, assegnandogli il proprio nome. Un onore non da poco, oserei dire.

A distanza di secoli, il biscotto fatto con farina, albume d’uovo e zucchero, ancora è conosciuto col nome di savoiardo. Una resistenza al tempo niente male, che solo con la bontà del prodotto si può spiegare. Ma come ha fatto, allora, un dolce tipico del Nord Italia, a finire come pezzo forte sui banconi di una pasticceria del Centro-Sud?

La statua di Amedeo VI, il Conte Verde

Bisogna risalire storicamente ai punti di contatto tra le due diverse località. Il nostro amico giapponese si è improvvisato storico, facendo comunque un buon lavoro, e ha rinvenuto che l’unico possibile momento di commistione possa essere stato l’assedio di Gaeta del 1860.

Facciamo rapidamente il punto su quanto accadeva in quell’epoca.

Si stava facendo l’Italia. Il Regno di Sardegna, guidato dai Savoia, orchestrava l’opera. Mentre l’esercito sabaudo si preoccupava della metà superiore della penisola, a Sud le truppe di Garibaldi sbarcavano in Sicilia e risalivano lo stivale in direzione di Napoli, capitale del Regno delle Due Sicilie, dominato dalla casata dei Borbone.

Il re Francesco II di Borbone non riuscì a contrastare gli invasori e dovette infine rifugiarsi nella piazzaforte di Gaeta, ultimo baluardo difensivo del Regno, a pochi passi dal confine con lo Stato pontificio.

La città fu posta sotto assedio dai piemontesi e resistette per circa tre mesi. Quindi ecco, questo sembra il momento in cui i Savoia e Gaeta hanno un punto di contatto.

Che ci possa essere stato uno scambio culturale culinario, tra assediati e assedianti, sembra piuttosto inverosimile. Eppure, la pasticceria Di Ciaccio vanta effettivamente un’origine borbonica del suo savoiardo, che tra l’altro presenta, rispetto alla ricetta canonica, delle differenze sostanziali: totale assenza di farina, sostituita in pratica dal tuorlo d’uovo, unita a un procedimento di lavorazione abbastanza complesso, ancora oggi totalmente artigianale. Forse un adattamento alla situazione di assedio, per cui si preservava la farina per fare il pane, alimento fondamentale, mentre si produceva un biscotto nutriente e gustoso per mantenere alto il morale degli uomini impegnati nella strenua resistenza.

Scelta non poco provocatoria e beffarda, quella di nutrire le truppe proprio con i savoiardi!