Per la Commemorazione dei Defunti, una poesia di Dina Ferri

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Facilmente, navigando sulla rete, troviamo in questo giorno le poesie dedicate alla Commemorazione dei Defunti. Il Giorno dei Morti, di Giovanni Pascoli oppure ‘A livella, di Antonio De Curtis in arte Totò, ad esempio. Non troverete invece la splendida Due Novembre, di Dina Ferri. Poetessa nata il 29 settembre 1908 a Radicondoli, in terra senese, vissuta a Ciciano, frazione di Chiusdino, sempre provincia senese, e morta a Siena il 18 giugno 1930. Quando morì, di tubercolosi intestinale, aveva quindi poco più di ventun anni. La chiamarono la «Poetessa pastora», poiché, dopo aver frequentato le prime tre classi nella scuola elementare di Ciciano, tornò a pascolare le pecore, proseguendo di nascosto e testardamente gli studi. Portava con sé, dietro le pecore, un quadernetto a cui affidava le impressioni e i pensieri. Ma un giorno che faceva il trinciato per le bestie, con il trinciaforaggi, si mutilò tre dita della mano destra. Potremmo dire che non tutti i mali vengono a nuocere. I genitori decisero, visto la grave mutilazione, di farle proseguire i corsi elementari della quarta e della quinta nella scuola di Chiusdino, negli anni 1924-25 e 1925-26. Dina faceva a piedi dieci chilometri al giorno (che carattere! testarda come il personaggio Stardi del romanzo Cuore!), studiava e scriveva. Fu il prof. Barni, ispettore scolastico, che, leggendo i quaderni di questa ragazza, si rese conto di aver scoperto una poetessa. Il professore si adoperò, e lo ottenne, a farle ricevere, dal Monte dei Paschi, un sussidio annuo per i Corsi Magistrali in un convitto presso l’Istituto di Santa Caterina a Siena. In quel collegio, Dina fece, in tre anni, le quattro classi inferiori, malgrado la tubercolosi intestinale la tormentasse.

Le sue poesie, semplici e belle come i canti, sono liriche che avrebbero certamente fatto innamorare il Pascoli. Potremmo scrivere di Dina Ferri come l’ultima dei crepuscolari ma è impossibile dare una definizione di questa magia della vita letteraria italiana. Un’anima, la sua, sensitiva, timida -anche scontrosa- e ricca di poesia genuina. Del resto siamo in una terra, quella di Siena, di mistici e poeti. Una terra fatta di zolle dure e rosse che si direbbero tinte di sangue. La vita solitaria e lontana dai contesti urbani, l’immunità da ogni contagio cittadino e letterario, portarono Dina Ferri a sentire e a rendere classicamente ciò che vedeva, amava o soffriva. Una donna e una poetessa, del primo Novecento italiano. Magari ce ne sono altre, tutte da scoprire o riscoprire.

Riportiamo la poesia Due Novembre, tratta dall’opera «Quaderno del nulla»

Cosa canti oscillante campana,  

cosa canti, con voce sì strana?  

Il tuo lento, mestissimo canto  

giunge al cuore qual’eco di pianto,  

e ci chiama nei sacri recinti,  

su le tombe dei poveri estinti.

Un confuso di preci e di lutto,  

uno schianto, nel pallido flutto  

genuflesso alle urne dei morti,  

ove dormono deboli e forti. 

Son tramonti di luci già scalbe,  

son tramonti che piangono l’albe  

circonfuse nel mistico giglio:  

è la madre che chiama suo figlio.