L’Unità di Italia fatta sul sangue degli italiani del Meridione

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Re Francesco II con la morte nel cuore lascia la piazzaforte di
Gaeta. Si rivolge al suo aiutante di campo capitano Vincenzo
Criscuolo e osserva: “Vincé vedrai che il Nord si suga il
Meridione” e così accadrà. Se ci si reca oggi ai forzieri della
Banca d’Italia si ha modo di osservare tonnellate di lingotti
d’oro con lo stemma della Casa Reale dei Borbone.
L’operazione ideata da Camillo Benso Conte del Marchesato
di Cavour ed eseguita dal Generale Giuseppe Garibaldi non è
stata l’unificazione della penisola italiana. Diversi storici
moderni hanno definito i fatti che ebbero inizio negli anni
1860 – 1861 la prima guerra civile italiana. Una guerra sporca
dove furono usati metodi spietati nei confronti della
popolazione civile. Per prima cosa si effettuò la spoliazione.
Ad esempio il 6 agosto 1863 si decise di smantellare la
fabbrica di Pietrarsa realizzata da Ferdinando II per le prime
ferrovie italiane con la prima locomotiva costruita sul
territorio. L’obiettivo del governo piemontese era il
trasferimento dei macchinari all’Ansaldo di Genova. Gli
operai partenopei presiedano i cancelli per impedire il
trasferimento e la dirigenza allerta i bersaglieri che inviano un
intero battaglione. Sparano e trucidano quattro operai Luigi
Fabbricini, Aniello Marino, Domenico Del Grosso, Aniello
Olivieri e ne feriscono venti, di cui cinque molto gravi. Tra il
1860 e il 1870 i piemontesi impiegarono 250.000 militari: 57
reggimenti di fanteria, 10 reggimenti di cavalleria, 19
battaglioni di bersaglieri, 83.927 unità della Guardia
Nazionale Italiana, 7.489 Carabinieri Reali. Ottomila morti tra

i militari del Regno, da ventimila a cinquantamila tra i patrioti
che saranno definiti briganti. Tutte le guerre civili hanno un
filo comune. Negli anni 1943 – 1945 i partigiani italiani
saranno definiti banditen. Noi ricordiamo Marzabotto dove tra
il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 furono trucidati 1830 civili
di età diverse. Ebbene l’Italia Meridionale ha conosciuto il
suo eccidio. Tra il 7 e il 14 agosto 1861 quarantacinque
bersaglieri cadono in combattimento presso il paese di
Casalduni e quello limitrofo di Pontelandolfo. I due paesi
vengono messi a ferro e fuoco. Un mio collega originario di
Pontelandolfo riferiva i racconti tramandati dagli anziani.
Quando lo ascoltavo mi commuovevo. Ottantamila
meridionali presero le armi e combatterono senza timore
alcuno. Eccezionali le brigantesse che si vestivano come gli
uomini e maneggiavano con perizia fucile e pugnale.
Facevano da informatori e curavano i loro feriti. Era una
guerra spietata. Fu vietato ai pastori di portare con sé pane
superiore al fabbisogno di una giornata temendo che
rifornissero i briganti. Ma molti pastori stavano con le loro
greggi più giorni in montagna. Un pastorello di 11 anni fu
ucciso sul posto per un eccesso di pane. Ed è soltanto un
esempio. Nel 1861 inizia l’emigrazione meridionale che
termina negli anni venti del XX secolo con l’avvento del
fascismo. L’unità d’Italia è stata realizzata sulle punte delle
baionette e sui sacrifici dei sudditi di quello che era un regno
felice e prospero.