Lo scrittore Antonio Pennacchi si è spento improvvisamente dopo un malore, nella sua casa di Latina; aveva 71 anni, era nato nel 1950 a Latina, nel 2010 Premio Strega, con il romanzo Canale Mussolini (Mondadori) e autore de Il fasciocomunista. Vita scriteriata di Accio Benassi (Mondadori, 2003) che nel 2007 era diventato film con il titolo Mio fratello è figlio unico, per la regia di Daniele Luchetti.

Interprete di un territorio, l’Agro Pontino delle bonifiche mussoliniane, e di una temperie sociale e politica, quella dell’Italia del Novecento (del Ventennio e del dopoguerra).

Ida Bozzi sul Corriere della Sera lo ricorda: «Mia madre non mi capiva, ha amato solo mio fratello»

Lo stesso scrittore aveva rivelato di aver avuto un infarto nel 1996, e lo aveva scritto con leggerezza, quasi con ironia sul «Corriere della Sera» il 29 agosto 2011.

Aveva scritto Palude (Donzelli, 1995), storia di un uomo soprannominato appunto Palude, sottoposto a un trapianto di cuore: «E poi m’è successo a me — aveva confessato sul quotidiano — neanche un anno dopo avere scritto il romanzo ho fatto un infarto anch’io».

Alla letteratura era approdato tardi, nel 1994, con il romanzo Mammut (pubblicato da Donzelli), dopo una lunga stagione di contrastanti passioni politiche, prima nel Msi e poi tra i maoisti, poi nel Psi e nel Pci, durante gli anni di lavoro come operaio in fabbrica dopo l’università.

Ma anche l’esordio letterario è tempestoso come le sue passioni, e la storia dell’operaio Benassi protagonista del libro, e delle sue battaglie e sconfitte — una fiction autobiografica, che rievoca l’esperienza dello stesso Pennacchi come operaio alla Fulgorcavi e le sue vicissitudini di sindacalista della Cgil —, viene rifiutata da 33 editori prima di approdare alla pubblicazione.

Il modo in cui è nato quel libro spiega tanto dello stile realistico (ma si cimenterà anche con il romanzo di fantascienza, Storia di Karel, edito da Bompiani nel 2013), sanguigno e profondamente doloroso di Pennacchi, che cominciò a scrivere le pagine di Mammut a penna, su qualche foglio di carta, dopo il lavoro in fabbrica («Facevo di notte. Sempre di notte», raccontava lo scrittore), e attese ben otto anni prima di vederlo finalmente pubblicato.

La rabbia e la passione di Pennacchi si stempereranno in epopea, prima, e in ironia, poi, senza perdere però la loro fondamentale connotazione sanguigna, di chi quella vita l’ha vissuta e soprattutto l’ha vista vivere intorno a sé: Pennacchi racconta quella particolare «provincia», italiana e laziale, nell’area di Latina e dell’Agro Pontino, quel territorio che vive sentendo la capitale vicina eppure lontanissima, una terra che sembrava promessa e forse non lo è, con le sue folle e i suoi protagonisti rabbiosi, o sofferenti, o marginali, o vagabondi, alla ricerca di sé stessi e della verità in direzioni anche contraddittorie.

Così è Accio, protagonista de Il fasciocomunista: un autoritratto dell’autore, oltre al rispecchiamento di una generazione, un viaggio tra ribellione e ideologie, delusioni e senso di insufficienza, e il racconto ispirato alla sua esperienza, tra la certezza delle idee politiche e l’incertezza della gioventù (e viceversa).

Diventò un film di grande eco, diretto da Luchetti e interpretato da Elio Germano nei panni del protagonista, con Riccardo Scamarcio e Luca Zingaretti.

Fu questo romanzo, e anche Canale Mussolini, con la vittoria allo Strega, a far conoscere Pennacchi a un pubblico di lettori più ampio: ma con Canale Mussolini più ampio è lo sguardo che Pennacchi rivolge alla gente e alla terra.

Cambia il respiro, anche lo stile è meno frammentario e rapido o rabbioso (la rabbia si è trasferita nelle cose, nei fatti) il panorama si allarga, è più vasto, anche dal punto di vista storico: abbraccia la storia dell’Italia operaia e contadina dagli anni Dieci del Novecento fino al secondo conflitto mondiale.

Ed è una storia che forse davvero riesce a rintracciare le origini dei dolori, delle sofferenze e delle grandi passioni dei protagonisti, oltre che a raccontare il Paese: anche perché coincide con la vicenda vera delle famiglie di mezzadri, «trasferite» dalla bassa Padana, tra Veneto, Emilia e Lombardia, fino alle terre nuove intorno al Canale Mussolini, le terre laziali delle bonifiche del Ventennio.

Così è attirata laggiù anche la famiglia Peruzzi, verso il miraggio di una terra fertile: le promesse però si sbriciolano contro la durezza della vita nei territori nuovi, dove l’odio degli autoctoni per gli emigranti è violento, e i campi sono infestati dalle zanzare: arriveranno gli americani, con il Ddt, a reinstallare i Peruzzi nei loro campi per un’altra stagione di fatiche.

Ecco: l’Italia della fatica e del lavoro, che può sperare (anche se ancora non lo vede) in un futuro migliore.

L’idea che espresse lo stesso Pennacchi nella lettera scritta a Giorgia Meloni, chiedendole di sostenere il governo Draghi: «Dopo la Seconda guerra mondiale e quella di Liberazione, le forze socialcomuniste e cattoliche — da sempre acremente divise — seppero trovare quel minimo di concordia necessario a costruire assieme l’unità del popolo, una Costituzione democratica repubblicana».

Quella concordia, continuava, «che portò l’Italia ad essere, dal Paese povero e sottosviluppato che era prima, la quinta o sesta potenza economica mondiale».