“È un grande sacrificio adempiere ad un dovere così orrendo. Sono stata lì, in un momento tanto sacro della sua vita: ma il mio cuore sanguinava, vedendolo così giovane al posto del suo amatissimo padre. Chiedo a Dio di alleviare il peso cadutogli sulle spalle».

Così, nel 1896, l’ultima imperatrice madre di Russia, Maria Fjodorovna, descriveva l’ascesa al trono del figlio, Nicola II. La zarina scriveva alla propria madre, la regina Luisa di Danimarca. Nelle confidenze, il presagio della tragedia: la fine dei Romanov, il tramonto degli zar e dell’impero russo, la strage dell’ultima famiglia imperiale, lo scatenarsi della rivoluzione bolscevica.

I diari segreti della principessa Dagmar, divenuta Maria Fjodorovna dopo il matrimonio con Alessandro III e la conversione all’ortodossia, sono pubblicati per la prima volta dalla casa editrice Vagrius di Mosca.

Gli inediti, desecretati dal governo danese, sono arricchiti da fotografie, lettere, documenti sconosciuti, custoditi dall’ archivio di stato russo: in parte mai letti, in parte mai tradotti dal danese. L’ eccezionale fonte, a 140 anni dal viaggio che portò la futura imperatrice verso la corte degli zar, contribuisce a ricostruire un periodo cruciale per la storia mondiale e la vita di una delle figure più drammatiche dell’aristocrazia europea.

«Va in un Paese – annotò per lei Hans Christian Andersen, scrittore di novelle presente alla partenza – che le resterà comunque straniero».

Le spoglie dell’ultima zarina madre sono tornate in Russia dalla Danimarca, ripercorrendo il tragitto del suo primo viaggio.

«Me ne vado – si legge nel suo addio alla Russia – perché non sopporto più lo spirito maligno di Rasputin. Regna a corte, insidia mia nuora, ha costretto Nicola ad assumere il comando dell’esercito. I nostri nemici vedranno così che a governare è Rasputin».

La principessa Dagmar riposa ora nella Cattedrale di Pietro e Paolo, dentro la fortezza di Pietro il Grande a San Pietroburgo. Ha raggiunto così il figlio Nicola II, la nuora Alessandra e i loro cinque figli, fucilati dai bolscevichi nel 1918 vicino a Ekaterinburg e sepolti solo nel 1998 nell’antica capitale. Non è escluso che Maria Fjodorovna, come avvenuto nel 2000 per la famiglia imperiale assassinata, andando a riposare accanto all’ultimo Romanov morto a palazzo, venga proclamata santa dalla Chiesa ortodossa. Il crollo dell’Urss, l’esibito fervore cristiano sia di Eltsin che di Putin, l’enorme peso riassunto dal patriarcato nella vita politica ed economica del Paese, contribuiscono a creare attorno agli zar un alone mistico ed eroico.

Al punto che Maria Vladimirovna, che dalla Spagna rivendica il trono perduto, ha presentato alla procura generale una «domanda di riabilitazione» per Nicola II e la sua famiglia. La granduchessa chiede giustizia: «Non avevano commesso alcun crimine – ha dichiarato – sono stati ammazzati per ragioni politiche, senza inchieste né processo». Sono proprio il tramonto della casa imperiale russa, gli anni tragici del passaggio da una monarchia feudale alla dittatura bolscevica, il tema centrale dei diari della madre dell’ultimo zar. Dalle lettere segrete di Marja Fjodorovna emergono due novità storiche: la coscienza drammatica della propria vita, l’atterrita consapevolezza di un’epoca giunta alla fine.

La giovane principessa danese doveva in realtà andare in sposa al fratello maggiore di Alessandro, l’erede al trono Nicola. Dopo il fidanzamento a Nizza, egli morì improvvisamente di tisi. Dagmar si maritò così con il più giovane dei Romanov. Le morirono giovanissimi due dei quattro figli, assistette alla fucilazione degli altri due e di cinque nipoti, all’omicidio del fratello (re di Grecia) e prima del suocero Alessandro II. Testimone e vittima di sconvolgimenti definitivi, morta a 81 anni nel 1928, la madre di Nicola II nel 1916 riparò dalla figlia Olga a Kiev, in Ucraina. Grazie alle suppliche della sorella Alessandra, regina d’ Inghilterra (bisnonna di Elisabetta II), nel 1919 dalla Crimea riuscì a scappare in patria. Dalle ultime lettere si scopre ora che otto mesi dopo la fucilazione della famiglia imperiale, ancora non credeva che il figlio fosse morto.

«Buon giorno Ksenja – si legge in un messaggio senza data all’imperatore già assassinato -, se volete imbarcarvi con me dovete essere pronto per le 9». E ancora, nell’estremo congedo: «Ho capito, non verrai. Addio, mio caro. La tua mamma».

Del fondo ritrovato fanno parte anche le lettere private indirizzate alla zarina. Le raccomandazioni del padre, re Christian IX, quelle dell’erede al trono, quelle della regina madre e delle dame di corte. Leggendole in sequenza, tra il 1865 e il 1919, si ripercorre come in un film il dietro le quinte di una monarchia allo sfacelo e il moltiplicarsi della violenza dei «narodovoltsi», i rivoluzionari pre-comunisti. «Ci siamo salvati per miracolo – appunta la sovrana il 17 ottobre 1888, quando una bomba fece esplodere il treno su cui l’imperatore rientrava da Sebastopoli -. Eravamo felici nella carrozza ristorante, poi tutto è scoppiato. Lo zar è uscito dal tetto: che orrore, 22 morti e 35 feriti». Pochi anni prima, nel 1881, aveva descritto alla madre l’omicidio di Alessandro II, padre del marito, fatto saltare su una bomba a San Pietroburgo. «La testa, la faccia e la parte superiore del corpo sono rimasti intatti. Le gambe invece erano strappate fino al ginocchio. Povero e innocente imperatore, sulle scale e nei corridoi del Palazzo d’ Inverno c’era una lunga scia di sangue». La dinastia vacilla e la principessa venuta dall’ Europa vive l’ascesa al trono del marito come una sventura.

«Da allora – scrive alla madre nel 1883 – non sono più tranquilla. Per il mio Sasha la perdita del padre è un colpo durissimo. Prima della sua incoronazione mi sentivo come un agnello sacrificale. Io e Sasha non abbiamo nemmeno avuto il coraggio di parlarne tra noi».

Descrive quindi da spettatrice le solenni cerimonie al Cremlino, con lo spirito caustico delle cronache dell’epoca. «Noi eravamo seduti sui troni, gli alti cortigiani ci servivano. Sembrava la scena di un’opera di Wagner, ma i protagonisti eravamo noi. Quando tutto è finito ho provato un sollievo come dopo il parto». Mai una confidenza serena, il racconto di una gioia, un attimo di felicità. Maria Fjodorovna è una regina triste e spaventata. Cerca di rassicurare i genitori («non date retta ai giornali, la situazione in Russia è stabile»), consiglia al marito di punire subito i burocrati corrotti («i dignitari vanno controllati perché non abusino d’ufficio per fini di lucro, colpendo a titolo d’esempio alcuni in alto e ad altri in basso»), consiglia allo zar di giustiziare «i vilissimi assassini» del suocero e nel 1894 racconta nei dettagli la morte del marito: «Alle 4 gli ho dato dello champagne, il medico ha somministrato i farmaci per il cuore. Sasha si è ripreso, ha bevuto un caffè con il cognac e ha voluto baciare tutti. È spirato tra le mie braccia: la mia vita è rovinata».

Sono però la successione di Nicola II e la rivoluzione del 1917 gli incubi che la inducono a profondi esami di coscienza, accuse e impressionanti richieste d’ aiuto. «Da tempo – confida al fratello Valdemar nel maggio del ’17 – si capiva che tutto stava cambiando. Abbiamo giocato troppo a lungo con il fuoco, alimentando la rivolta.

Un passo sbagliato dopo l’a0ltro, ogni settimana nuovi ministri, fino all’ ineffabile scelta di Protopopov (ultimo ministro degli interni ndr), truffatore e traditore. Chi poteva immaginarselo, tre anni fa, che il Paese si sarebbe comportato in modo così vergognoso? Non avrei mai pensato che ci avrebbe gettato via come una semplice merda».

È questo l’epitaffio segreto dei Romanov, la sentenza di condanna dell’impero. Maria Fjodorovna è in fuga, ammette di «vivere ormai solo di ricordi», confida al figlio imprigionato a Tobolosk di essere ridotta in povertà.

“È così difficile trovare da mangiare, a volte persone buone mi mandano del burro. Con me sono rimasti solo Timofej (un cosacco guardia del corpo ndr) e il mio servo Poljakov». L’ ultimo zar ha abdicato, l’aristocrazia è caduta, la rivoluzione d’Ottobre apre l’epoca di Lenin e poi di Stalin, la vecchia sovrana vaga tra Copenaghen e Londra, sgradita a tutti e abbandonata. «Che ne sarà del povero Nicola – scrive – e come finirà finalmente la mia vita terribile?».