Un momento del convegno "A Scuola di Genere" nell'aula magna dell'istituto Filangieri. Da sinistra Paola Villa, Filomena Lamberti, Stefania Valerio.

 Promuovere relazioni fondate sul principio di uguaglianza e parità di diritti tra uomini e donne.

È solo il secondo degli obiettivi che il progetto “A scuola di Genere”, promosso dall’associazione di volontariato Airone e con la partecipazione di altre realtà di sostegno come SoS Donna, si è posto per sensibilizzare gli studenti del Golfo verso tematiche come quello della violenza sulle donne. “Trasformare gli studenti in ‘agenti del cambiamento’ rispetto al tema della violenza di genere, è quanto mai urgente al giorno d’oggi” hanno dichiarato alcune delle relatrici intervenute al convegno conclusivo del progetto tenutosi il 16 novembre presso l’Istituto Filangeri di Formia. Dalla Prima Cittadina Paola Villa, alla consigliera di Parità Francesca Bagni Cipriani, sono stati molti gli interventi che si sono succeduti, considerando anche la partecipazione di testimoni come Filomena Lamberti, rimasta vittima di un “attentato alla sua identità” come l’ha definito lei stessa, da parte del marito che le ha bruciato il viso con dell’acido muriatico.

Ma il fantasma che aleggiava in aula magna e che nessuno vedeva, era rappresentato dal confine labile di demonizzare la figura dell’uomo, con il rischio di personificare la violenza stessa nel genere maschile. E ciò accade per tutti i mezzi di informazione.

Secondo l’ultimo report dell’associazione SoS Stalking pubblicato lo scorso luglio da un’agenzia nazionale di informazione, nei primi sei mesi del 2018 si contano 44 femminicidi. Il bilancio è sempre accompagnato dall’analisi del fenomeno e relativa sentenza. In sintesi: le relazioni uomo-donna sono malate perché il maschio (bianco ed eterosessuale) è possessivo e violento. Quello che nessuno dice mai è che nello stesso arco temporale sono stati oltre 90 gli uomini che hanno perso la vita, feriti gravemente o hanno ricevuto violenze fisiche da donne violente. A tenere il “conteggio infame” è l’attivissimo blogger Davide Stasi titolare del sito “Stalker sarai Tu”.

A documentare con numeri incontrovertibili i dati della violenza di genere che colpisce gli uomini era stata recentemente l’analisi elaborata dalla giornalista Barbara Benedettelli. “Secondo gli ultimi riscontri riportati dal Viminale nell’Italia del 2017 sono state uccise volontariamente 120 donne, gli uomini 116 più 4 ammazzati all’estero dalle loro partner che non avevano accettato la fine della relazione, o per soldi”. “Per chi non sapesse leggere i numeri, le donne hanno ucciso quanto gli uomini” ha spiegato la giornalista, quindi a differenza di ciò che i media fanno credere, la violenza domestica è bidirezionale, e colleziona vittime sia femminili che maschili, quindi non solo femminili.

“Non possiamo dunque – ha continuato la Benedettelli- non tenere conto, quando osserviamo il fenomeno del femminicidio, dell’altra faccia della medaglia: la condizione maschile, l’emancipazione psicologica dell’uomo, i pregiudizi legati al concetto di maschio e il tabù che riguarda la violenza femminile sul sesso opposto”.

Violenza che esiste – anche se raramente ha dinamiche omicidiarie – e che riguarda la psiche, il portafogli e perfino la sessualità. In Italia sono poche le indagini in questo senso. Una di queste, passata quasi inosservata, è stata effettuata nel 2012 da un’equipe dell’Università di Siena su un campione di uomini tra i 18 e i 70 anni. La metodologia è la stessa utilizzata dall’Istat nel 2006, per la raccolta dei dati sulla violenza contro le donne e che ancora oggi vengono riportati con grande enfasi. Secondo l’indagine dell’Università di Siena, nel 2011 sarebbero stati oltre 5 milioni gli uomini vittime di violenza femminile configurata in: minaccia di esercitare violenza (63,1%); graffi, morsi, capelli strappati (60,05); lancio di oggetti (51,02); percosse con calci e pugni (58,1%). Molto inferiori (8,4%), a differenza della violenza esercitata sulle donne, gli atti che possono mettere a rischio l’incolumità personale e portare al decesso.

Una differenza rilevante questa, che in parte giustifica la maggiore attenzione al femminicidio. Nella voce «altre forme di violenza» dell’indagine (15,7%) compaiono tentativi di folgorazione con la corrente elettrica, investimenti con l’auto, mani schiacciate nelle porte, spinte dalle scale. Come gli uomini anche le donne usano forme di violenza psicologica ed economica se pur con dinamiche diverse: critiche a causa di un impiego poco remunerato (50.8%); denigrazioni a causa della vita modesta consentita alla partner (50,2%); paragoni irridenti con persone che hanno guadagni migliori (38,2%); rifiuto di partecipare economicamente alla gestione familiare (48,2%); critiche per difetti fisici (29,3%). Insulti e umiliazione raggiungono una quota di intervistati del 75,4%; distruzione, danneggiamento di beni, minaccia (47,1%); minaccia di suicidio o di autolesionismo (32,4%), specialmente durante la cessazione della convivenza e in presenza di figli, spesso utilizzati in modo strumentale: minaccia di chiedere la separazione, togliere casa e risorse, ridurre in rovina (68,4%); minaccia di portare via i figli (58,2%); minaccia di ostacolare i contatti con i figli (59,4%); minaccia di impedire definitivamente ogni contatto con i figli (43,8%). Nulla di nuovo rispetto alle ricerche sulla violenza nell’ambito delle relazioni intime condotte in altri paesi, dove c’è una maggiore propensione a studiare il fenomeno tenendo conto di entrambi i sessi.

Detto ciò, quello che sarebbe consigliabile fare, è seguire quello che è rappresentato dal quarto obiettivo del progetto “A Scuola di Genere”, con una piccola modifica:

Sensibilizzare le giovani generazioni sul tema della violenza e sull’importanza della prevenzione dei fenomeni ad essa connessi quali stereotipi, pregiudizi, discriminazione, atteggiamenti prevaricatori, minacce e vessazioni nei confronti delle donne persone.