Pasquale Mattej (Formia 1813 – Napoli 1879)  nel 1845 ha pubblicato sul Poliorama Pittoresco, rivista settimanale edita a Napoli, un corposo articolo corredato da numerose litografie, dopo aver effettuato un lungo sopralluogo sul:
“Promontorio detto di Gianola e le antichità ivi esistenti, nelle adiacenze di Mola di Gaeta – Frammenti di alcuni studii su le patrie Antichità”.

” … Di già sui colli formiani diradato quel grigio colorito che succede alle ombre della notte, il verdeggiante lido, aspetto pittoresco delle abitazioni che si distendono sulle loro falde cominciavano ad apparirci confusionate; e sempre più ai nostri sguardi impicciolivansi a misura che agilissima la nostra barchetta, salpando, dalle stesse spiagge divulgansi e prendeva il largo nel golfo che gli antichi Sinus Formianus appellavano. Adagiato in su la rustica panchetta di quella, in compagnia dell’amico signor L…, ed ambedue immobili, senza scambiarci una parola, lo sguardo affissato in quella lucida e cerulea pianura che si increspava e si infrangeva con lieve mormorio al misurato tonfo dei remi, pareva che i nostri sensi si assopissero a poco a poco, quasi dominati da inesplicabile affascinamento. Il cielo sorridente e sereno, la brezza mattutina intiepidita al sorgere dell’astro diurno che spuntava sfolgorante da lontani gioghi del Massico, l’armonia e la calma che a noi dintorno solennemente si spiegava… Tutta non valevano a rivelar la misteriosa azione di quell’insolita estatica acquiescenza. Era uno di que’ rari non aspettati momenti, in cui soave una certa malinconia ci sorprende furtiva, e l’anima siffattamente a poco a poco c’inebria, che questa divenuta quasi schiva d’ogni altra sensazione, tutta in se stessa si concentra, che tutta questa divenuta quasi schiva domandiate sensazioni, tutta se stessa si riconcentra, e non senza pena può distogliersi da quel profondo meditare che giunse talvolta sino alla contemplazione. Intanto già a mezzo aveva già la nostra barca trascorso il cammino, con la prua rivolta al breve promontorio non più che tre miglia discosto verso l’oriente da Mola di Gaeta; il quale con l’aggiunto si addita Janula o Gianola, voci corrotte da Giano.”

 

Nell’immagine la pianta del promontorio di Gianola a corredo dell’articolo, disegnata dal Mattej.

” Voglioso io finalmente di interromper questo troppo prolungato silenzio, all’amico mi rivolsi, e: parmi, gli dissi, che gli occhi tu abbi inchiodati su qualche obiettivo che t’interessa sul continente; non vorrai confidarmi che vai di presente fantasticando? 
E colui come all’improvviso colpito si riscuoteva. Si che tel dirò, mi rispose, come chè più utile della nostra taciturnità credo che si il far parola di cose patrie; e ben mi leverò il ticchio ancora che si mi punge d’intender che tu ne pensi delle tante torri che nella contrada che abbiamo a rincontro successivamente ci si presentano allo sguardo. Molte ne contiamo, come sai, nel solo breve perimetro di otto miglia quante ne corrono da Mola al fiume Garigliano in diretta linea! Da simili torri sembra guardato il littorale di questo promontorio di Gianola, ed altre ne scorgo sul fiume stesso del Garigliano… Ma a qual pro queste torri i nostri maggior edificavano a mò di fortificazioni (ora fatte ricettacoli di uccelli da rapina), chi ne prescriveva la costruzione in questi siti, ed in qual epoca?
(…) La torre che or vedi biancheggiare su quella cima è coetanea alle già dette innalzate poscia sul promontorio di Gianola… E continuato avrei sul tuono stesso, esponendo così alla buona e come nel pensiero si succedevano queste istoriche narranze, allorchè un urto improvviso seguito dal rincular della barchetta ci fece accorti che toccavamo finalmente le sponde di Gianola, meta per quel di del mio artistico tragitto. Già il destro marinaio, accostato il fianco della barchetta di contro ad uno degli scogli che quelle rive circondano, ne aiutava a discendere, per quindi guadagnar l’erta, da cui contemplando quel sito; non si può fare a meno di non trarre un sospiro, rimembrando quanto in altri tempi offerisse aspetto leggiadro, ed ora come selvatico e deserto contristi lo guardo!”

Per difendere la costa del promontorio di Gianola, furono edificate nel XVI secolo quattro torri: quella di Scauri, dove ancora si osservano i ruderi; del Fico, andata distrutta; di Giano o Gianola, edificata su ruderi di epoca romana; e torre Foce, oggi inglobata in una villa.

L’ubicazione delle torri è visibile in questa carta topografica del 1861.

” ( … ) Lungo la costa occidentale del promontorio e nella parte propriamente che le opposte spiagge Gaetane riguarda, giacciono le ruine di grandiose fabbriche romane, e sul pianerottolo di un poggio amenissimo che loro sta a cavaliere la principale di esse si addita negli avanzi di famoso edificio per antica tradizione creduto un tempo già dedicato a Giano da’ Formiani. Di questo più che delle altre adiacenti fabbriche nelle loro opere il Pratilli (che adottava le opinioni stesse comunicategli dal suo critico Gesualdo) ed alcuni moderni ancora che di costoro ciecamente seguiva le tracce, fecero menzione. Ma il brevissimi cenni che questi autori lasciavano ad illustrazione di questi monumenti, non danno quella coscienziosa descrizione che con sano criterio ognun riconosce indispensabile per venire a capo della più ragionevole interpretazione de’ medesimi archeologi subietti; poiché alla semplice in nuda tradizione affidati essi non fecero che in tenebria più profonda involgere quel che si speravan chiarire. Restarsene alle altrui relazioni, giudicare con una tal quale divinazione, non addentrarsi nell’indole, ne’ sentimenti, nelle passioni, nel genio di quel popolo a cui può appartenere il monumento che si mette in disanima, nè in siffatte ricerche aver ad guida la ragione… egli è un traviar per fermo dalla retto sentiero, un aprir vasto campo dell’arbitrio che la sana critica offende ed irrita.

Da siffatti conosciuti principi guidati, noi verrem qui esponendo, e per quanto queste brevi pagine permetteranno, lo stato attuale di quelle famose ruine, comecchè nel presente rincontro la semplice esposizione di essere più che il mediato giudizio meglio varrà da se sola a chiarir di quelle l’uso e a cui furono nella prima origine destinata. E dapprima vorrebbe dire del nominato tempio che si pretende agiranno dedicate.
Un’ampia sala di forma ottagonale coperta da volta, e nel giusto centro sorretta da solido pilastro nella stessa figura, costituisce di tutto l’edificio la parte principale. In essa niuno benché minimo spiraglio di luce si mostra, il che induce principalmente non dirò al sospetto, ma alla positiva certezza (nè da’ suddetti autori né da altri per anco avvertita) che non accaso questo buio fu in questo sito centrale prescritto, perché velato avesse e nel mistero involto le segrete pratiche che ivi esercitarsi dovevano. Ricordando dagli antichi popoli i limiti, i misteri in simil guisa tenebrosi, è ben raro che si smentisca l’istoria quando in essi quasi sempre fa sospettar violato i femminile pudore.”

 

Nell’immagine la pianta della sala ottagonale a corredo dell’articolo, disegnata dal Mattej

“Lavorata a musaico è industriosamente la volta a fondo bianco, in cui non simmetricamente condotte un gran numero di stelle delle quali la preziosa e fragile materia si staccava lasciando però visibili gl’incastonamenti. Adornava il pavimento un altro ma più pregevole musaico distrutto assolutamente dal tempo, ma molto più crediamo dal mal vezzo degli oltramontani che infrangevanlo, ed i pezzi con gelosa cura custodivano quali reliquie del sito che visitavano. Né in miglior condizione si conservarono gli stucchi, i fregi, le cornici, il colorito delle pareti, di cui appena abbiam contezza per le scarse vestigia che in tutto quell’edificio qua e là si rinvengono. Tra mezzo giorno e ponente è l’ingresso unico di questa sala, spazioso per certo, ma con prevedimento dietro le altre fabbriche che circondano la sala nascosto, perché all’uopo in questa più intera parte potesse essere ogni relazione con di fuori proibita. Or quel che verrem dicendo è pur tutto ciò che può rivelare il segreto dell’illustrazione, giacché nello spazio del pavimento che fra l’ingresso intercede ed il pilastro del centro esiste una vasca quadrilunga ch’esser dovea lastricata e fregiata di finissimi marmi; e scavate parimenti nel suolo stesso, ma nel destro e manco lato, son due pile di figura circolare, di cui quella a destra comunicava con la vasca grande per un piccolo canale, che prima era del pavimento stesso ricoperto; attualmente ingombri di pietre e di terreno i descritti recipienti di acqua (che per tali uopo è che si riconoscono anche a fior d’ingegno), a noi non permisero di scovrire se con sotterranei meati avesser potuto aver relazioni con l’esterne fabbriche. Ed ecco in ciò che quegli eruditi non avvertirono, e in sulle prime mosse, negli enunciati serbatoi spiegato il carattere e la chiara ed unica destinazione di quella sala che all’intero edificio si rapporta, perocchè è quella di mezzo una vasca balneare o bacino, e le due pile i serbatoi per l’acqua necessaria e che desideravasi a temperare del bagno il maggiore e minore calore. Da ciò anche manifesta si rende la fallacia della tradizione che servì di sola scorta ai succitati autori che confermarono senza maturo esame l’opinione già sparsa del volgo. Per altro ne’ nostri luoghi come altrove occorre facilmente che con l’improprio vocabolo di tempio genericamente ogni edificio si appelli che mostra una certa speciosa costruzione. 

Nell’immagine una ricostruzione dell’edificio ottagonale con pianta e sezione longitudinale, disegnate dall’architetto Salvatore Ciccone, pubblicate sul volumetto “Aspetti archeologici e Paesaggio vegetale”, a cura del Parco Regionale Suburbano di Gianola e Monte di Scauri.

“( … ) E da ciò argomentiamo che ben altra sarà stata la vera cagione perché il promontorio di Gianola con tale aggiunto si fosse additato di un Nume che probabilmente ivi poteva essere venerato, ma in qualche particolare Saccellum, come per ventura uno se ne incontra esistente nell’opposto lato del promontorio dal Gesualdo indicato come fosse sacro a Nettuno; o che altrimenti l’edificio stesso poteva essere consacrato a Giano, siccome era costumanza presso gli antichi dedicare ad alcun nume o dichiararlo tutelare domestico di alcun grandioso edificio. E dovevano por mente coloro nel conservarci quel titolo, come tra questa sala ottagona e i vetusti templi a quelli a Giano dedicati specialmente singolari per le sacre porte alludenti alla pace o alla guerra come osservasi in quello di Giano quadrifronte in Roma, nemmeno la benché minima similitudine o analogia si possa stabilire nel paragone; tanto son tra loro differenti e distinti per conformazione, per iscompartimenti, per aspetto e per gusto di architettura! Ma ripigliamo la sospesa descrizione, ed ora per la parte accessoria.

La stessa ottagonale figura è serbata generalmente nel resto dell’edificio, che la suddetta sala circonda con questa distribuzione di architettura che Calcidica si disse e vien ricordata da Vitruvio; e vien formato questo da uno porticato di otto stanze che si conseguitano e comunican fra loro per via di porte laterali regolarmente negli otto angoli distribuite. Ciascuna di queste stanze altra nell’estremità ne racchiude, siccome si può vedere nel disegno che riportiamo, e chiusa in quel lato che immette nel portico da muro condotto a semicircolo a mo’ di edicola o d’ipetro. Giova qui notare come costantemente in tutti gli antichi formiani edifizi che si son caduti sott’occhio, che nel muro di prospetto di alcune stanze è serbata la forma stessa di una nicchia che varia solamente per la grandezza. Ond’è (nè crediamo andare molto lungi dal vero) che appunto questa particolare conformazione fa quelle stanze distinguere dalle circostanti, le quali potevano essere destinate al riposo o al dormire, e quindi nel cavo di quel muro il letto ordinariamente si collocava; con ciò ricordando il costume delle alcove modificate poscia ed usate presso i romani.”

Nell’immagine una ipotetica restituzione ideale dell’edificio ottagonale, disegnata dall’architetto Salvatore Ciccone, pubblicata sul volumetto “Aspetti archeologici e Paesaggio vegetale”, a cura del Parco Regionale Suburbano di Gianola e Monte di Scauri.

“Nel posteriore della descritta interna sala, volto tra nord e l’est si scorge l’ingresso di quest’edificio, nella parte esterna fregiato, per quello che additano gli avanzi, di colonne, di frontespizio e di corrispondente stereobato e scalini: ma interessante oggi cambiato l’aspetto esteriore di quest’ingresso (perché ricolmo quel sito di terreno ed ingombro di rov)i, difficilmente ci aggiusterebbe fede di chi non bene esaminata la disposizione della pianta dell’edificio, si fa a penetrare in questo per la parte occidentale fra le aperture formate dalle crollate volte del portico, come da tutti per più comodo si suol praticare. Diverse strade conducevano a quest’edificio. Nella parte settentrionale, fra le circostanti campagne, dallo storico della città Gaeta (Gesualdo) fu riconosciuto un tratto di via selciata, avanzi di una ramificazione certamente della via Appia, con la quale doveva congiungersi. E nel piano che precede il vestibolo e l’ingresso principale dell’edificio è riconoscibile una strada che mostra di ricongiungersi dopo lunghissimo tratto con la grande e spaziosa scala coperta di volte consecutive e costrutta sulla china del monte che riguarda il sud, Nell’interno più non esistono gli scalini di pietra che fino alla superficie del mare sottoposto aggiungevano. Però si scorge dagli avanzi come di finissimo stucco e di gentili pitture fosse adornata, ed illuminata a quando a quando da spiragli di luce. Ma la ferrea mano del tempo a queste rovine specialmente avendo dato un aspetto tristissimo, fé loro meritare che la superstizione dé marinai le indicassero con l’aggiunto di Grotta della Janara (fattucchiera).”

Nell’immagine la “Grotta della Janara” a corredo dell’articolo, disegnata dal Mattej.

“La stessa strada superiore giacente nel piano condur dovea al porto contiguo, che volto pur anco al mezzogiorno, è sito a destra della descritta sala in direzione parallela della medesima. Altra spaziosa scala si osserva esistente nella parte posteriore dell’edificio, cioè che a questo si congiungeva dalla parte occidentale. Era questa intercalata da riposi per ragioni dell’erta quivi più rapida dell’altra, e da questi potevasi accede ne’ piani campestri laterali distribuiti in guisa di giardini pensili. L’ultimo ed inferiori di questi piani si chiude da un lunghissimo muro reticolato, lungo il quale corre un’altra via che attraversa il fianco del monte e che le due descritte principali scale congiungeva. Si mostrano molti scalini intagliati nel masso della stessa montagna, ma non notabili cinque di essi scalpellati nel vivo della roccia ed a sinistra della seconda scala che abbiamo ricordata, pe’ quali e indubitato che una particolare scaletta ivi doveva esistere costrutta con molto ardire per poter ridiscendere nel piano inferiore ed a’ bagni marini propriamente, come verrem dicendo, e ciò perché l’elevazione si mostra quasi perpendicolare.
Altre interessanti rovine si possono ammirare nella stessa cima del monte per cui non ci siamo per ancora dipartiti, come tra le altre è ammirabile al sinistro fianco della grotta già mentovata della Janara una sotterraneo a volta, puntellato da un grande numero di bassi pilastri, da’ quali prese argomento il volgo di additare il luogo dalle 36 colonne. Ed è chiaro pur troppo come ivi fosse conservata l’acqua; e perciò le pareti oltre alla propria solidità e spessezza ed ottimo intonaco aggiungevano una marmorea consistenza ed ultimamente una crosta di stalattiti che si formavano su quello. Del pari un quadrilungo si scorge in seguito di questa conserva, e nel piano medesimo distendendosi per tutta la sua lunghezza, che ben si può argomentare che avesse comunicazione con l’edificio principale, costituiva con le sue volte un comodo, ombroso e dilettevole passaggio al signore del luogo, che ivi poteva scansare l’azione degli estivi raggi solari, mentre che con un colpo d’occhio da quel sito medesimo poteva abbracciare l’intera circonferenza del golfo e degli ameni dintorni. Possonsi ancora ammirare nell’interno dell’edificio varie distribuzioni di stanze addette senza dubbio all’uso de’ fornelli, delle stufe e di quant’altro occorreva a poter riscaldare l’acqua inserviente pel bagno. Ma in quale assoluto abbandono si giacciono questi interessanti monumenti è pur dispiacevole il dover rammentare!”

Nell’immagine la “Grotta della Janara” in un disegno del Mattej del 1847.

( … ) Tuttora vergini di ogni benché minima illustrazione, questi ruderi formerebbero il subietto di lunghe ed interessanti speculazioni archeologiche, alle quali se volessimo qui tener dietro, troppo ci metterebbero per le lunghe. Ma ci contenteremo di rammentare (comecchè di gran giovamento torni per chiarire lo straordinario lusso con che furon condotti questi marini bagni) la visibile disposizione di un laghetto artificiale, profondo sì che si scopre la sottoposta arena del suolo ora disseccato e distrutto. In esso si scendeva per alquanti scalini formati da grossi quadroni. Sembra che un tale spazioso bacino in quella forma si fosse costrutto perché insieme molte persone potessero aver l’agio di bagnarvisi. E qui ricorrendo alla storia de’ costumi del popolo romano, possiam dichiarare che simili artificiali bacini, per altro non comuni in bagni privati, ma negli splendidi edifici o pubblici o ad opulenti personaggi appartenuti, servivano a lusingar in più particolare modo il lusso di quel popolo pe’ nautici spettacoli, consistenti in rappresentanze di ludi e giuochi di forza di equilibrio di nuoto ( … )”

il Mattej prosegue la sua escursione, continuando nella descrizione, che per ovvie ragioni termino qui. Concludo trascrivendo l’ultima, poetica, parte che chiude questo lungo e ben narrato articolo.

” ( … ) Ma un eco levossi improvviso a me d’intorno che ripeteva quella mia spontanea apostrofe. Mi rivolsi: era un crocchio di marinai da’ rossi berretti, che spensierati, con la gioia dipinta nel viso rubicondo, rimorchiavano allegri le loro barchette reduci dalla pesca. Essi davan la voce a lontani compagni e cantavano a coloro gli armoniosi e patetici ritornelli delle Formiane contadine. Chiusa nel loro centro la nostra barchetta ove ci eravam riseduti l’amico ed io, di conserva facemmo tutti ritorno, imbrunita già l’aria, alla patria comune.”


Nell’immagine i ruderi dell’edificio ottagonale in un disegno del Mattej del 1847