Mafie, quale è lo stato di salute del nostro territorio? Il sud pontino non ne è immune. Il Lazio Meridionale, con la Provincia di Frosinone a fare da cucitura con la Campania, ha subito e subisce lo sconfinamento di gruppi camorristici operanti oltre Garigliano oltrechè dover fare i conti con gruppi autoctoni, stanziatisi dopo anni di soggiorni obbligatorio. Camorra e ndrangheta, in particolare, hanno eletto questo comprensorio a terra di interessi. A confermarcelo è la Direzione Distrettuale Antimafia, che nella sua Relazione semestrale ricostruisce le trame che riguardano la nostra provincia.

“Il territorio di Latina è stato in passato meta di soggetti, sottoposti a soggiorno obbligato, appartenenti alle varie famiglie mafiose, che poi si sono insediati definitivamente al termine della misura restrittiva, attestando nel territorio pontino il proprio centro di interessi.

È innegabile come la realtà economica offerta dal contesto socio-economico abbia incentivato la loro permanenza. Il Mercato Ortofrutticolo di Fondi (MOF) rappresenta, a livello nazionale, un importante indotto economico nel settore logistico-alimentare, nel quale si sono inserite le organizzazioni criminali per incrementare i propri affari illeciti. La collocazione geografica di Latina, inoltre, costituisce uno snodo per i collegamenti tra le province di Roma, Napoli e Caserta. In particolare, appartenenti alla camorra hanno deciso di spostarsi nell’area pontina, per sottrarsi ai controlli, continuando così a gestire le attività illecite sui limitrofi territori di origine.

Per i sodalizi campani, vista la contiguità geografica, l’area è la loro naturale area di espansione per i traffici illeciti, nonché per il riciclaggio ed il reimpiego dei capitali acquisiti illegalmente nei settori dell’edilizia e del commercio. Risorse investite in particolare nel circuito agroalimentare e della ristorazione, nonché delle sale da gioco.

Negli anni, nella provincia di Latina le indagini hanno fatto registrare la presenza, soprattutto sul litorale pontino, di esponenti di sodalizi campani legati alle famiglie BARDELLINO, BIDOGNETTI, GIULIANO, MALLARDO, LICCIARDI.

Il territorio della provincia è anche utilizzato quale rifugio per latitanti. Diversi sono stati i soggetti criminali ri-cercati tratti in arresto nel corso del 2018. Nel mese di ottobre, a Minturno, dove era domiciliato, è stato tratto in arresto, in esecuzione di un ordine di carcerazione, un affiliato al clan casertano BELFORTE. Nello stesso giorno, sempre a Minturno ed in esecuzione di analogo ordine di carcerazione, è stato tratto in arresto un affiliato al clan napoletano LO RUSSO.

Nel tempo è emersa anche la presenza della ‘ndrangheta. A Latina risultano operativi le cosche reggine AQUINO-COLUCCIO di Marina di Gioiosa Jonica e COMMISSO di Siderno, mentre a Fondi si registra la presenza dei BELLOCCO e TRIPODO, nonché dei vibonesi LA ROSA-GARRUZZO ed, infine, ad Aprilia dei GALLACE-ARANITI degli ALVARO di Sinopoli (RC).

Collaborazioni funzionali tra diverse matrici criminali, emerse già in relazione alle attività del MOF di Fondi, sono state confermate dalle risultanze dell’operazione “Aleppo”, condotta dai Carabinieri, che il 13 settembre 2018, a Fondi e Terracina (LT) nonché a Mondragone (CE), hanno arrestato 6 soggetti e sequestrato una società operante nel settore del trasporto su gomma delle derrate alimentari all’interno del citato mercato ortofrutticolo. Nell’indagine è stata coinvolta la famiglia D’ALTERIO, originaria del sud-pontino, contigua a clan camorristici casertani, che aveva monopolizzato i trasporti, tra l’altro imponendo una “tassa” alle altre ditte di trasporto. Tra i reati contestati, anche le minacce ad un imprenditore per ritornare in possesso di un bene, acquistato in un’asta pubblica, che era stato confiscato ai D’ALTERIO.

Il contrasto ai clan camorristici operanti sul territorio ha visto, inoltre, un sequestro di beni, operato dalla Guardia di Finanza il 24 luglio 2018, nei confronti di un soggetto residente nella provincia di Latina e ritenuto vicino alclan GALLO-LIMELLI-VANGONE. Le attività investigative hanno dimostrato come lo stesso avesse reimpiegato soldi provenienti da attività illecite in una società e in diversi immobili della provincia, sottoposti a sequestro unitamente ad automezzi e rapporti bancari.

Nel febbraio 2018, un’altra attività di prevenzione, effettuata dalla DIA, aveva condotto alla confisca di beni del valore di circa 22 milioni di euro, nella disponibilità di un imprenditore originario di Formia, operante in svariati settori merceologici, ritenuto vicino al cartello dei CASALES I- gruppo BIDOGNETTI.

Va inoltre rammentato che l’area pontina ed, in particolare, la città di Latina, risentono della presenza di clan di origine sinti, come i DI SILVIO ed i CIARELLI. In merito, vanno considerate, nel periodo in esame due importanti operazioni di contrasto. La prima ha colpito i DI SILVIO con 6 ordinanze di custodia cautelare. Le stesse sono state eseguite dalla Polizia di Stato il 5 novembre 2018 a carico di altrettanti soggetti che, oltre al traffico di sostanze stupefacenti, hanno posto in essere una serie di estorsioni, aggravate dal metodo mafioso, anche a carico di un libero professionista operante nella città. L’attività ha dimostrato, in maniera efficace, come questi soggetti ponessero in atto le intimidazioni sia con la forza di intimidazione derivante dal proprio cognome, sia paventando influenze anche in ulteriori ambiti criminali.

La seconda investigazione, denominata “White Iron”, ha tratto spunto dal sequestro, presso lo scalo portuale di Livorno, di 80 kg di cocaina destinata ad alimentare le piazze di spaccio del Lazio. L’attività si è conclusa il 27 luglio 2018 con l’esecuzione di un provvedimento cautelare863 nei confronti di 3 soggetti, tra i quali figura un esponente sinti della menzionata famiglia CIARELLI.

Anche il territorio della provincia di Latina è quindi caratterizzato da una convivenza tra le varie consorterie, sia di origine extraregionale che autoctone, tese a perseguire i propri interessi con modalità mafiose.

Tale assunto, risulta ampiamente confermato anche nella Relazione del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Roma all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2019, nella quale è riportato che “…il territorio del basso Lazio è stato oggetto di una espansione via via sempre più profonda e ramificata non soltanto ad opera di clan camorristici e del corrispondente insediamento dei relativi esponenti, ma anche di cosche di ‘ndrangheta, la cui presenza si è con il tempo estesa e strutturata, fino a determinare la compresenza su quel territorio di un coacervo di gruppi, la cui attività, fortemente caratterizzata dal metodo mafioso, ne ha segnato profondamente il tessuto economico-sociale ed anche politico. … Si tratta, in altri termini, di nuclei criminali che, rafforzatisi e strutturatisi nel tempo, hanno finito per dare luogo a vere e proprie associazioni mafiose autoctone”.

Va aggiunto che l`azione dello Stato, contro queste consorterie, si dimostra sempre efficace. Tuttavia, per eradicare il fenomeno, che ricordiamo nelle parole di Giovanni Falcone, è “un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”, necessita anche tuttele energie della società civile.

Chiudiamo questo articolo ricordando il sacrificio di Paolo Borsellino e gli uomini e le donne della sua scorta, caduto il 19 luglio del 1992, con le parole di Antonino Caponnetto: «Un giudice vero fa quello che ha fatto Borsellino, uno che si trova solo occasionalmente a fare quel mestiere e non ha la vocazione può scappare, chiedere un trasferimento se ne ha il tempo e se gli viene concesso. Borsellino, invece, era di un’altra tempra, andò incontro alla morte con una serenità e una lucidità incredibili.»