Iniziamo una fattiva collaborazione con Don Antonio Cario, direttore diocesano per l’ecumenismo, il dialogo interreligioso e i nuovi culti, nonché parroco di Scauri della Chiesa di Sant’Albina V.M.. E’ un concreto contributo per tutti coloro che amano seguire il calendario liturgico con il contributo di uno stimato teologo.

“Carissimi, la solennità di tutti i Santi spesso viene vista come una festa che unisce le diverse devozioni ai santi protettori e come un onomastico generale con reciproci auguri anche con persone il cui nome non è tra i Santi del calendario, certi che in cielo, ci sarà qualcuno con questo nome.

     Ma il prefazio della Messa del 1 novembre esprime la gioia della Chiesa “di celebrare la città santa, la Gerusalemme del cielo che è nostra madre, dove l’assemblea festosa dei nostri fratelli glorifica in eterno il nome di Dio”

     Quindi è la festa di una dell’assemblea che già contempla il volto di Dio, formata da uomini e donne, costituiti da Dio come modelli di vita cristiana per tutte le generazioni che, come canta il salmo 23, “cercano il volto di Dio”

     Per questo nel prefazio ci dichiariamo “pellegrini sulla terra, sorretti dalla fede, in cammino verso la patria comune, lieti per la sorte gloriosa di questi membri eletti della Chiesa, che nella nostra debolezza Dio ci dona come sostegno e modello di vita”.

     L’introduzione del messale romano alla Solennità, ci fa sentire in comunione con tutta la Chiesa che: “Intende celebrare Dio per tutti i santi, anche per quelli che non sono stati ufficialmente riconosciuti tali, i quali formano – come è scritto nell’Apocalisse (7,9) – una moltitudine immensa di ogni nazione, tribù, popolo e lingua che sta davanti al trono e all’agnello”.

    Inoltre, citando la Costituzione Dommatica sulla Chiesa del Concilio Ecumenico Vaticano II, Lumen Gentium al n. 39, continua evindenziando come  “La celebrazione è memoria riconoscente della santità della Chiesa, la quale continuamente si manifesta nei frutti della grazia che lo Spirito produce nei fedeli in varie forme”.

     Quindi oggi celebriamo innanzitutto la santità di Dio che, come prega la preghiera dopo la comunione, è “unica fonte di ogni santità, mirabile in tutti i suoi Santi”.

      Egli ha scelto di incarnarare la sua santità nella storia dell’umanità attraverso il suo Figlio Gesù, per unirci alla sua santità con il Sacramento del Battesimo, che realizza ed attua nella nostra vita personale la Pasqua di Risurrezione.

     Lo ascoltiamo dall’apostolo Giovanni che nella sua prima lettera (3,1-3) ci invita a vivere le nostre giornate con lo sguardo aperto al futuro, sostenuti dalla fede che sostiene le nostre scelte quotidiane, impregnata sempre di più di quell’amore che va oltre il sentimento umano, perchè,  come scrive l’apostolo, “ce lo ha donato il Padre per essere chiamati figli di Dio”.

     Più conosciamo Dio attraverso l’ascolto della sua Parola, più sentiamo crescere in noi la gioia di quella beatitudine che trasfigura il presente e dona uno sguardo nuovo sulla storia, non solo personale, ma di tutti.

     Carissimi, il brano delle beatitudini contenuto nel Vangelo di Matteo (5,1.12a) che domina la liturgia della Parola, ci aiuta a guardare alla povertà come condizione innanzitutto interiore che da spazio a Dio e ci rende capaci di mitezza, ci fa desiderare il cibo e la bevanda della giustizia, che sostiene tutti coloro che agiscono con misericordia, trasmettono pace e comprensione negli ambienti di vita e di lavoro.

     Il modello delle beatitudini è Gesù al quale, lungo il corso della storia, tanti uomini e donne si sono ispirati, forse alcuni di loro non credenti in lui, ma sicuramente credibili per il loro stile di vita.

    Perciò la festa di oggi coinvolge anche musulmani, ebrei ed altri appartenenti ad altre espressioni religiose, che hanno attraversato e illuminato i momenti bui della storia con il loro agire limpido e sincero … evangelico.

     Sappiamo bene che ciò che è autenticamente umano è anche cristiano e porta in se il sigillo dello Spirito che agisce anche al di fuori dell’azione sacramentale della Chiesa.

     Augurarsi vicendevolmente buona festa significa desiderare per ciascuno di noi un amore sempre crescente verso Dio … da figli veri, figli amati e desiderati!”