La correlazione: deforestazione, allevamenti, rischio tumori – Le carni rosse sono chiamate così per la loro colorazione rossa dovuta alla forte presenza, in queste carni, di emoglobina e di mioglobina. Sono carni rosse il vitello, il vitellone, il bue, il manzo, la vacca, la carne equina, come quella di cavallo e puledro, e la carne ovina e caprina. Si stima che il settore zootecnico crescerà del 74% nei prossimi dieci anni nei paesi a basso e medio reddito, mentre a livello globale il numero degli animali da allevamento aumenterà di circa il 50% entro il 2050. Dunque il consumo globale di carne è in aumento e questa scelta alimentare incide profondamente sulle emissioni di gas serra e sulla nostra salute. Il consumo di carne, si legge in un report di Science, sta aumentando in relazione non solo alla crescita della popolazione, ma anche a quella del reddito medio individuale, una tendenza destinata a influire in modo importante sulle emissioni inquinanti e sulla perdita di biodiversità.

OMS – Le carni considerate cancerogene e quelle probabilmente cancerogene

Infatti, negli anni è stato dimostrato lo stretto legame tra il consumo di carni rosse e i problemi legati all’inquinamento ambientale, alla salute degli animali e delle persone. Per quanto riguarda il problema ambientale è per lo più legato agli allevamenti intensivi e sul forte impatto negativo che hanno sull’ambiente, infatti questo tipo di impianti è più inquinante delle automobili, causato dalle grandi quantità di flatulenze e liquami che vengono prodotti ogni giorno dagli animali che, se conservati male, possono rilasciare nell’aria particelle di ammoniaca. Inoltre, i liquami spesso non vengono smaltiti correttamente e finiscono per inquinare corsi di acqua danneggiando chiaramente non solo l’ambiente ma anche la salute delle persone. Un altro problema derivante dagli allevamenti intensivi è la grande quantità di acqua che serve per produrre la carne: si stima che nel nostro paese per produrre un solo chilo di carne bovina siano necessari quasi 800 litri di acqua. Ma gli allevamenti intensivi rappresentano un problema anche per il suolo: se da una parte gran parte di questi impianti è destinata alla coltivazione di soia e altri cereali per creare mangimi per gli animali, dall’altra queste bestie a causa del loro peso finiscono per compattare il terreno rendendo difficile l’assorbimento dell’acqua. Provocatorio ma efficace è stato il titolo del report pubblicato nel novembre 2020 dal WWF che tuona “Quanta foresta avete mangiato oggi?” che mette in evidenza il forte legame tra i consumi e il fenomeno della deforestazione.

Secondo quanto riportato dall’organizzazione ambientalista internazionale ben l’80% della superficie forestale che abbiamo perso dipende proprio da abitudini non sostenibili. Negli ultimi 30 anni sono stati deforestati 420 milioni di ettari di terreni in tutto il mondo, ma soprattutto nelle aree tropicali, una superficie ampia come l’intera Unione Europea e il fenomeno non accenna a rallentare, tant’è che ogni anno circa 10 milioni di ettari sono persi. Ciò accade, prevalentemente, per fare spazio a terreni agricoli impiegati per coltivare su larga e larghissima scala le materie prime per poter garantire beni di consumo nei mercati globali. il 10% della deforestazione globale è causata dai consumi dell’Unione Europea. Di fatto, i cittadini dei 27 paesi UE, consumando caffè, soia e carne bovina e suina, favoriscono inconsapevolmente la deforestazione. La perdita delle foreste si trasforma in un attentato alla biodiversità, in un aumento della CO2 e nel peggioramento della qualità dell’acqua. Inoltre, accelera il cambiamento climatico di cui sono state già studiate le drammatiche conseguenze anche sul mondo agroalimentare. Altrettanto preoccupante, sostiene il WWF, è la situazione della coltivazione della soia, utilizzata per produrre mangimi per gli allevamenti in tutto il mondo.

Il cereale viene utilizzato prevalentemente per la produzione di mangimi per gli allevamenti intensivi di pollame, suini e bovini. Un dato che pone l’UE al secondo posto nella classifica degli importatori di soia al mondo. Secondo le stime di Etifor, riportate dal WWF, le importazioni italiane di soia hanno provocato una deforestazione di circa 16.000 ha/anno. Poi c’è l’allevamento del bestiame che è il maggiore driver di deforestazione in America latina e in Amazzonia, addirittura l’80% della deforestazione in Amazzonia deriva da questo settore. Altrettanto significative, sempre a proposito dell’Italia, anche le cifre che valutano l’impatto del consumo di carne:  va da 11.153 ha/anno circa (ipotesi di massimo) a circa 5.900 ha/anno (ipotesi di minimo). Infine numerosi studi hanno dimostrato che i prodotti trasformati a base di carne rossa come i salumi potrebbero essere cancerogeni, quindi bisognerebbe limitarne l’assunzione. In particolare l’IARC – International Agency for Research on Cancer dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha rilevato la cancerosità della carne rossa e di quella lavorata o trattata. Il Ministero della Salute ha provveduto ad acquisire il parere del Comitato Nazionale per la Sicurezza Alimentare. Esempi di carni lavorate includono gli hot dogs, prosciutti, salsicce, carne in scatola, preparazioni e salse a base di carne. Dunque la carne rossa va consumata nella dovuta modalità, una o due volte a settimana al massimo. Inoltre la decisione dell’IARC di inserire carni lavorate e carni rosse nella lista delle sostanze cancerogene è un invito a tornare alla dieta mediterranea in quanto, afferma IARC, la presenza di conservanti o di prodotti di combustione in questi alimenti è legata ad alcuni tipi di tumore mentre una dieta mediterranea ha dimostrato invece di poter diminuire il rischio di tumori.