In Italia 3.600.000 persone hanno subito un tumore e l’invecchiamento facilita il rischio oncologico – La mortalità per tumore è in diminuzione in entrambi i sessi, ma l’invecchiamento della popolazione, che è associato al rischio oncologico, fa sì che le morti siano comunque molte in valore assoluto. Per questo la riduzione che si osserva soprattutto in percentuale è difficile da percepire. Anche i bambini e i ragazzi tra 0 e 19 anni che muoiono di tumore sono sempre meno: i decessi sono circa un terzo di quelli registrati nei primi anni Settanta. La sopravvivenza dopo la diagnosi di tumore è uno dei principali indicatori che permette di valutare in base a studi epidemiologici sia la gravità della malattia, sia l’efficacia del sistema sanitario. Si misura calcolando quanto sopravvivono in media le persone che sono colpite da un cancro con determinate caratteristiche al momento della diagnosi.

La sopravvivenza è fortemente influenzata da due elementi: la diagnosi precoce e la terapia. La diagnosi precoce che i pazienti ricevono grazie ai programmi di screening per il tumore della mammella, del colon-retto e della cervice uterina, è anche associata a una maggiore probabilità che gli stessi pazienti siano curati più efficacemente. Parallelamente gli sviluppi delle terapie oncologiche (per esempio la recente introduzione di farmaci a bersaglio molecolare) stanno contribuendo ad aumentare la sopravvivenza. Nei cinque anni successivi alla diagnosi gli esami di controllo sono piuttosto ravvicinati, contribuendo a stabilire la cosiddetta sopravvivenza “libera da malattia”, un indicatore ormai entrato nell’uso comune. In Italia la sopravvivenza media a cinque anni dalla diagnosi di un tumore maligno è del 59,4 per cento fra gli uomini e del 65 per cento fra le donne. La sopravvivenza è aumentata negli anni e inoltre, a livello individuale, migliora man mano che ci si allontana dal momento della diagnosi.

È particolarmente elevata la sopravvivenza dopo un quinquennio in tumori frequenti come quello del seno (87,8 per cento) e della prostata (91,1 per cento). Il cancro è ancora la seconda causa di morte (il 29 per cento di tutti i decessi) dopo le malattie cardiovascolari, ma chi sopravvive a cinque anni dalla diagnosi ha, per alcuni tumori (testicolo, tiroide, ma anche melanoma, linfomi di Hodgkin e, in misura minore, colon-retto), prospettive di sopravvivenza vicine a quelle della popolazione che non ha mai avuto una neoplasia. In Italia i valori di sopravvivenza sono sostanzialmente in linea con quelli dei Paesi nordeuropei, degli Stati Uniti e dell’Australia. La prevalenza dei pazienti oncologici corrisponde al numero di persone che vivono dopo una diagnosi di un tumore. La prevalenza è condizionata sia dalla frequenza con cui ci si ammala sia dalla durata della malattia (sopravvivenza): tumori meno frequenti, ma a prognosi favorevole (quindi con lunga sopravvivenza) tendono a essere rappresentati nella popolazione più di tumori molto frequenti, ma caratterizzati purtroppo da una breve sopravvivenza.

Nella popolazione italiana vi sono circa 3.600.000 persone (il 5,7 per cento circa della popolazione) che hanno avuto una diagnosi di tumore. Si parla di rischio assoluto quando si indica la probabilità che un evento si verifichi in un certo lasso di tempo (per esempio la probabilità teorica individuale di avere una diagnosi di tumore nel corso della vita nell’intervallo di tempo che va dalla nascita agli 84 anni). Con rischio relativo si intende invece l’aumento o la riduzione delle probabilità di ammalarsi per chi ha una particolare condizione predisponente o facilitante la malattia (per esempio una particolarità genetica o uno stile di vita) rispetto a chi non ce l’ha. Il rischio dipende molto dalla frequenza della malattia in questione: se è molto rara, anche con una mutazione genetica che raddoppia il rischio relativo, il rischio assoluto che una persona si ammali resta basso.