spiaggia dei Sassolini

Musica è l’arte di comunicare con i suoni. Come in ogni comunicazione si possono dire cose intelligenti, romantiche, stupide e la maniera di porle può essere frenetica, calma, suadente e così via. Comunque l’arte dei suoni si pone in contatto con la mente umana, spesso ne parafrasa il linguaggio, a volte è un surrogato di esso. Quando il suono è esclusivamente irritante si definisce rumore. A volte la frase musicale è arricchita e articolata da espedienti come glissati, bending, cambi di dinamica che fortemente e volutamente richiamano il linguaggio umano per creare una frase più concreta e fortemente caratterizzata e intellegibile; altre volte, come spesso avviene nel jazz, la frase è spezzata, irrisolta, si fonde nella componente ritmica per esprimere non un surrogato di una comunicazione compiuta quanto una impressione, un rapido stato d’animo, una sensazione più afferente al lato neuro-vegetativo che a quello di un linguaggio comunicativo fatto di parole e frasi.

Tutte le componenti del linguaggio di parola (culturale) possono trasferirsi al linguaggio musicale, come tensione, carattere, essenzialità, ridondanza, frivolezza, tristezza, allegria e cosi via. La musica vuol comunicare come la parola;  in meno non ha la concretezza ultima di significato di questa ma in più  possiede la capacità di infinite sfumature aggiuntive che incidono sui misteriosi recettori della mente umana. La quale, beninteso, è in continua evoluzione. Perché Chopin non suonava il rock and roll? Perché le reti neurali dell’epoca, formatesi dall’evolversi della civiltà fino a quel tempo non erano ancora pronte per quell’avvenimento, che invece esplose come evoluzione dei tre accordi del blues quando nel secondo dopoguerra si pretendevano e si desideravano nuove velocità, nuovi modi di espressione che offrissero sensazioni nuove e incisive che si era a quel punto pronti a recepire.

Senza scomodare interpretazioni fenomenologiche (Paci, Celibidache da Husserl e seguenti), la frammentazione del messaggio musicale nelle sue componenti comunicative può rivelarsi un utile esercizio per un tentativo di definizione del brano musicale stesso. Ad esempio il fattore essenzialità e il suo opposto ridondanza sono componenti centrali.  Riascoltavo giorni fa Bird on the Wire di Leonard Cohen, straordinario messaggio libertario in 3/4, dove ogni nota si lega come un macigno alla parola; ogni nota, ogni pausa risulta essenziale e non si potrebbe fare a meno di nulla, rompendosi altrimenti l’equilibrio globale di tutta la fusione melodico-armonica. Ripensavo contemporaneamente come buona parte del jazz contemporaneo risulti assolutamente ridondante, pieno di frasi e note non necessarie o esprimenti un impatto non significativo o addirittura inutile, superfluo. Lì è comunque la differenza tra il genio musicale e il musicante qualsiasi; l’impatto, l’incisività e la profondità del messaggio comunicativo. E vedo anche come parte del pubblico scuota la testa preso dal ritmo e dal fraseggiare assolutamente privo di qualsiasi peso di molti artisti che percorrono la nostra penisola, atteggiandosi ad abili ricettori di chissà quale sublimità musicale comunicata.

I Forq esibitisi il 2 luglio scorso al Mary Rock (spiaggia dei Sassolini) di Scauri sono un gruppo di base  a New York. Si è subito avvertita la base fusion che è peraltro un genere mai tramontato da quando è esploso intorno al 1970; ma che nel loro sound si arricchisce ulteriormente, rispetto al linguaggio di quegli esordi (si avvertono echi dei Weather Report e persino della Mahavishnu Orchestra),  di molteplici sfumature che negli ultimi decenni hanno globalizzato il linguaggio musicale. Un ottimo gruppo che solo la passione , la conoscenza, le relazioni intessute negli anni e la competenza dei coordinatori dell’ associazione Jazzflirt hanno permesso che potesse essere ascoltato nella nostra area, dopo esibizioni su palcoscenici più prestigiosi.

 

giuseppe grassi

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