La piaga della fuga dei cervelli, dei cuori e delle braccia all’estero ha un costo sociale ed economico gravissimo per il Paese. Ne parliamo con il professor Brunello Rosa, macroeconomista italiano da sempre dedito ai temi dell´immigrazione italiana all’estero.  

Che impatto ha sulla economia italiana la fuga all’estero? 

“Attraverso l´associazione Talented Italians in the UK abbiamo condotto diversi studi. Ovviamente parliamo di un fenomeno di migrazione enorme. Sei milioni di persone sono iscritte all’Aire, il registro degli italiani all´estero. Ma i nostri studi dimostrano che i numeri reali sono ancora superiori a quelli statistici. Infatti parliamo di una cifra compresa tra 1.5 a 3 volte superiore. Siamo di fronte ad un decimo della popolazione italiana, se non di più, quindi un fenomeno enorme che non può non avere un impatto sul PIL. Abbiamo stimato che costa all’Italia l’1% di crescita l’anno avere così tanti talenti all’estero. Quindi è un PIL che viene fatto all’estero e non viene prodotto in Italia. L’Italia cresce intorno allo 0,5-0,6% l’anno in media. Quindi, facendo conto che l’Italia potrebbe crescere 1,5 – 1,6% l’anno, avremmo un Paese diverso. Stiamo parlando di decine, se non centinaia di miliardi di euro, che sarebbero prodotti in Italia e che si tradurrebbero in maggior gettito fiscale”.

Quindi sarebbe intelligenti politiche per agevolare il rientro degli italiani. Tuttavia, il governo ha scelto di ridurre gli incentivi fiscali. La consideri una scelta politica o economica?

“Lo dico chiaramente, è una scelta politica. Economicamente non ha nessun senso perché il gettito che producono gli italiani che rientrano è comunque superiore a zero, che è quello che viene percepito se non rientrassero. Quindi qualunque sia il costo fiscale di questa operazione, compensa l’alternativa, che sarebbe zero. In piú c’é il radicamento, cioè il fatto che si ritorna, che si stabilisca qui il nucleo familiare, magari si facciano dei figli, si compri un’abitazione, cominciando cosí nuovamente a contribuire economicamente.”

Una contribuzione reale che beneficerebbe il Paese, vero?

“L’Italia spende per ogni laureato circa 250 mila euro in termini di formazione, assistenza sanitaria e assistenza sociale. Tutto quello che serve a formare un ragazzo da quando nasce a quando inizia a lavorare, dopo l’università. Bene, in questa prima fase il ragazzo è un costo per la società, ma quando inizia a lavorare inizia a pagare anche lui ciò che è stato versato per la sua formazione in termini di tasse e contributi. E non ci scordiamo che i contributi servono a pagare le pensioni di chi è in pensione già oggi, quindi non le proprie pensioni, ma di chi è in pensione già oggi. Invece, in questo preciso momento, il giovane espatria, va a produrre all’estero e paga tasse e contributi all’estero. Non solo, il paese ricevente non percepisce il costo della persona, perché quando viene è giovane, ma ne beneficia anche in termini di contribuzione netta. In più, nel momento in cui potrebbe iniziare a costare, perché è invecchiato e quindi ha bisogno di cure sanitarie, ha bisogno della pensione, indovina cosa fa il giovane che non è più giovane?Torna indietro e va a ripesare sulle casse dello Stato che aveva abbandonato e che non ha contribuito a ripianare con le sue tasse e contributi durante tutta la vita lavorativa.”

Una perdita netta e complessiva contro la quale ci vogliono politiche attive e un’idea complessiva di Paese per agevolare il rientro. Converrebbe economicamente e socialmente.