Aleggia di nuovo lo spettro delle Centrali Nucleari in Italia – Ci risiamo. Sembrava tutto accantonato nel nostro Paese in merito all’uso del nucleare ed ecco che a livello europeo si ritorna sul tema. Von der Leyen: “Ok al nucleare ma solo se sicuro e moderno”. La presidente della Commissione Europea interviene sulla tassonomia precisando le condizioni riguardanti gas e nucleare. Poi aggiunge: “Ogni Stato membro decide il proprio mix energetico”

La tassonomia è un marchio di controllo per i prodotti finanziari che riguarda gli investitori privati, offrendo loro trasparenza, mostrando se il finanziamento di un prodotto contribuisce alla transizione verso la neutralità climatica. Naturalmente, ogni Stato membro decide il proprio mix energetico. “Il gas rientra nella tassonomia” anticipata dalla Commissione europea il 31 dicembre “solo quando sostituisce il carbone, che è molto più inquinante, e in secondo luogo a condizione che l’impianto energetico sia costruito in modo da poter sostituire il gas con l’idrogeno“, ha sottolineato. “Il gas è una tecnologia di transizione per abbandonare il carbone e arrivare all’idrogeno verde, questo è l’obiettivo della tassonomia”. Allo stesso modo, “il nucleare fa parte della tassonomia”, cioè l’atto delegato della Commissione Europea che identifica le fonti energetiche sostenibili, “solo quando viene utilizzata la tecnologia più avanzata e più sicura al mondo” ha aggiunto la presidente spiegando che in questo modo il nucleare “contribuisce veramente alla transizione verso la neutralità climatica e questa era la precondizione” per far parte delle fonti promosse dalla tassonomia verde. L’8 e 9 novembre 1987 l’Italia aveva detto no all’uso dell’energia atomica con il primo, storico, referendum sul tema. Una decisione epocale, presa nel Paese patria di Enrico Fermi, il primo a innescare nel 1942, a Chicago, una reazione nucleare a catena controllata. La maggioranza dei cittadini che andò alle urne in quell’occasione votò per il «sì», abrogando una serie di norme e orientando le successive scelte in ambito energetico in direzione contraria all’uso del nucleare. Il cosiddetto «referendum sul nucleare» non fu però, e non poteva all’epoca esserlo, un voto sul «nucleare sì, nucleare no». I tre quesiti proposti riguardavano — infatti — normative relative alla localizzazione degli impianti, all’abrogazione delle compensazioni agli enti locali che ospitavano centrali (anche a carbone) e al divieto all’Enel, allora azienda di Stato, di partecipare a progetti nucleari, anche all’estero. Il quorum per tutti e tre i quesiti fu raggiunto a larga maggioranza e i sì furono nei tre casi superiori al 70%.

LA CRONISTORIA DEL NUCLEARE DAL 1979 AD OGGI, UNA STORIA INFINITA, IL RUOLO DELLA CENTRALE DEL GARIGLIANO

A segnare l’inizio del declino del nucleare in Italia furono due gravissimi eventi. Il 28 marzo 1979 avvenne l’incidente di Three Miles Island: la fusione parziale del nocciolo dell’omonima centrale nucleare, in Pennsylvania. Nonostante non ci siano state vittime e feriti, piccole quantità di gas radioattivo si dispersero nell’ambiente. Fu per il nucleare pessima pubblicità in molte nazioni del mondo. In Italia, la popolazione locale già stava protestando contro la costruzione della centrale di Montalto, che sarebbe iniziata nel 1982. Appena due mesi dopo l’incidente, le proteste sfociarono in una manifestazione a Roma, cui presero parte ventimila persone. Il numero di iniziative antinucleari aumentò. L’incidente influì inoltre sulla decisione di non riaccendere la centrale di Garigliano e di posticipare l’inizio dell’esercizio commerciale per quella di Caorso.

Il giorno in cui gli italiani furono invitati ad esprimersi nel nostro Paese si contavano quattro centrali elettronucleari: la centrale di Latina, da 210 MWe con reattore Magnox, attiva commercialmente dal 1964; la centrale Garigliano di Sessa Aurunca, sulla riva sinistra del fiume, al confine con la provincia pontina, da 160 MWe con reattore nucleare ad acqua bollente (BWR). Attiva commercialmente dal 1964, è l’unica tra queste che era già stata spenta prima del referendum. Fermata per manutenzione nel 1978, si optò per la disattivazione nel 1982; la centrale Enrico Fermi di Trino (VC), da 270 MWe con reattore nucleare ad acqua pressurizzata (PWR), attiva commercialmente dal 1965; la centrale di Caorso (PC), da 860 MWe con reattore BWR, attiva commercialmente dal 1981, l’unica delle quattro ad essere di seconda generazione. Un forte impulso verso il nucleare si ebbe a inizio degli anni ’70 a causa del repentino aumento dei prezzi di importazione dei prodotti petroliferi dovuti alla questione arabo-israeliana. Per questo motivo il PEN – Piano Energetico Nazionale – datato 1975 “prevedeva la realizzazione di ulteriori otto unità nucleari su quattro nuovi siti”.

Il nucleare trovò ampio spazio anche nel PEN del 1985. Il piano prevedeva la realizzazione di nuove centrali per 12 GW entro il 2000. Prioritaria la necessità di ampliare il mix energetico nazionale e ridurre la dipendenza dal petrolio importato. Il 26 aprile 1986 si verificò il disastro di Chernobyl. L’effetto negativo sull’opinione verso il nucleare fu devastante. Il mese successivo duecentomila persone si radunarono a Roma per manifestare. Il Partito Radicale promosse i referendum raccogliendo un milione di firme in meno di quattro mesi. A novembre i movimenti ambientalisti si concretizzano in un soggetto politico, la Federazione delle Liste Verdi. Il 24 febbraio 1987 si tenne la prima Conferenza Nazionale sull’Energia e l’Ambiente (CNEA). Il gruppo Economia, Energia e Sviluppo della Commissione Scientifica incaricata di stilare una relazione si mostrò diviso. In generale, da una parte i fautori temevano le ripercussioni economiche, industriali e sociali che l’abbandono del nucleare avrebbe comportato. Dall’altra, gli antinuclearisti sostenevano che politiche di risparmio energetico e sviluppo delle rinnovabili avrebbero costituito un’alternativa sufficiente. Per comprendere perché il referendum non si svolse prima della fine del 1987, bisogna partire dagli eventi di instabilità politica. Sebbene non fosse esplicitamente richiesta, la dismissione delle centrali nucleari fu la conseguenza naturale che seguì il referendum.

Tra il 1987 e il 1990 le centrali rimaste attive furono fermate definitivamente. I lavori avviati per la centrale di Montalto vennero invece riconvertiti per la realizzazione della centrale a policombustibile Alessandro Volta. Nel 1999 la SOGIN – Società Gestione Impianti Nucleari – acquistò la proprietà delle quattro ex-centrali, col compito di occuparsi del decommissioning. Fu il tramonto della produzione elettronucleare italiana. Ma non cessarono le polemiche. I più anziani ricordano il cavaliere solitario antinuclearista che fu l’avvocato Marcantonio Tibaldi, nobile esponente della comunità sancosimese. La sua denunzia fu costante e capillare, si giunse anche a una vertenza penale tra la SOGIN e lui che si chiuse solo con la morte del fiero combattente.