Contro le microplastiche nel Golfo di Gaeta e l’inquinamento dei mari c’è una soluzione: la bioplastica – Finalmente ci siamo, dal 14 Gennaio 2022 arriva lo stop alla plastica monouso: piatti, posate, bicchieri,
cannucce, cotton fioc in plastica tradizionale sono fuorilegge anche in Italia. Ma nell’elenco rientrano molti
altri oggetti di uso comune, come bastoni per palloncini, bottiglie per bevande fino a tre litri, contenitori in
polistirolo espanso e fili da pesca. Resta aperta la possibilità di esaurire le scorte per un settore, quello della
plastica monouso che vede il nostro Paese tra i leader continentali nella produzione e nello sviluppo. Nella
recente lunga storia di questo prodotto abbiamo proprio un italiano, Giulio Natta, che con la sua invenzione
del Polipropilene isotattico adatto principalmente alle stoviglie monouso a basso costo rende la plastica
protagonista degli anni del boom economico.
Dati economici che, come detto, vedono il nostro paese leader europeo con circa diecimila aziende per la
gran parte concentrate al Nord, per un totale di circa 162mila occupati e un giro d’affari da trentadue
miliardi di euro con quattro regioni (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte) a rappresentare
quasi il 70% della produzione italiana. Tra Piacenza e Rimini si concentra, buona parte dell’industria che
produce macchinari per imballaggio: una vera e propria packaging valley che dà lavoro a ventimila addetti.
C’è poi la filiera dell’industria chimica.


Sviluppo economico che ancora fatica ad essere sostenibile. Le emergenze ambientali infatti vedono la
plastica “colpevole” dell’inquinamento dei mari e delle coste, con il monouso ed il suo processo di
smaltimento sotto i riflettori della cronaca. Anche locale. Fecero infatti scalpore le denunce nel Golfo di
Gaeta di elementi riconducibili ai filtri utilizzati dalla depurazione delle acque ed il recupero sulle coste dei
retini e cassette utilizzate per acquacoltura e pesca. Una vicenda quella dei filtri di plastica che
recentemente ha visto il GUP di Salerno rinviare a giudizio per disastro ambientale e inquinamento doloso
sette indagati per lo sversamento in mare di 130 milioni di filtri i plastica provenienti dal depuratore di
Capaccio Paestum (SA) nel 2018. Un procedimento che ha visto il Comune di Formia costituirsi parte civile
insieme, tra gli altri, a Legambiente e WWF per quello che è nei fatti il primo processo in Italia per
inquinamento da plastica in mare frutto della legge sugli ecoreati di recente entrata in vigore. Polemiche,
quelle legate alla plastica in mare, che ciclicamente invadono il nostro territorio e a cui, ancora oggi non si
riesce a trovare una soluzione definitiva come nel suddetto caso degli scarti della pesca e dell’acquacoltura.
La plastica in mare, infatti, non solo è dannosa per gli ecosistemi marini, ma anche per le attività
economiche. Nonostante una correlazione diretta tra questo tipo di inquinamento e la salute umana non
sia ancora stata dimostrata a causa della mancanza di studi specifici, quello della plastica e soprattutto delle
microplastiche rappresenta un problema a causa degli agenti chimici utilizzati nella lavorazione. Quando
questi materiali finiscono in mare, gli agenti chimici possono essere rilasciati nell’acqua. Inoltre, le plastiche
possono raccogliere e trasportare sostanze chimiche e altri contaminanti ambientali fino a formare delle
vere e proprie isole galleggianti in balia delle correnti marine.


Prevenire i danni in mare del monouso è possibile nonostante la scarso ciclo di smaltimento della plastica
che vede ogni anno il nostro Paese esportarne 200mila tonnellate. In un panorama mondiale che vede
quindi l’Italia sommersa da questo materiale volutamente indistruttibile, una soluzione può arrivare dalle
bioplastiche capaci di ridurre l’accumulo di rifiuti e i danni per l’ambiente e, come abbiamo visto, per la
salute umana. L’idea e l’opportunità ci vede andare alla ricerca di un’invenzione di circa trent’anni fa e che
ci viene dall’azienda chimica Novamont: il Mater-BI. Un prodotto, quello dell’azienda italiana, che fa
riferimento alle bioplastiche biodegradabili e compostabili, ottenuto da una serie di tecnologie nel campo
degli amidi, delle cellulose, degli oli vegetali e delle loro combinazioni, realizzati attraverso una filiera
integrata che coinvolge ben tre siti produttivi italiani.

Una logica di sviluppo che prevede l’inserimento nel medio lungo periodo dei prodotti innovativi in
commercio e allo stesso tempo la sensibilizzazione dei consumatori per un mercato sempre più orientato
verso la sostenibilità. Sono infatti molte le amministrazioni e le istituzioni pubbliche, Università in primis,
che inaugurano progetti di ricerca e investimento sulle bioplastiche alla ricerca di quella rivoluzione verde
incardinata nella transizione ecologica di cui abbiamo bisogno e per cui dobbiamo ancora fare molto.