Itri: canti popolari, espressione della tradizione e della cultura contadina – Il canto ( anzi più che canto era poesia stornellata) pìù in voga, ai tempi dei nostri nonni e delle nostre nonne, era quello che i fidanzati si scambiavano, dopo aver litigato. Era il cosiddetto “colloquio a dispetto”, per vendicarsi della mancata fede o di subìto tradimento. Le donne erano solite, nei tempi passati, cantare sfrontatamente alcuni stornelli quando si zappettava il grano. “ Gli’ amore  cu’ duje perzune” ci presenta una visione “en plein air”, in cui la giovinezza è un’età beata e spensierata. In “C’è menuta primavera” le ultime due strofe, delle cinque, sono poetiche, un idillio dialogato. Basta con i dispetti. E’ primavera e c’e l’invito all’amore: alla ragazza, che stuzzica con civetteria e con una punta di malizia (“miezo a ‘stu petto ci stè ‘nu giardino”) l’ex innamorato, risponde il giovane, tutto preso di lei, concludendo la schermaglia con immagini gentili (“ E nun ci addora tento la primavera / cumme ci adduri tu, sposa gentile”).

Itri: canti popolari, espressione della tradizione e della cultura contadina Nei tempi passati i giovani erano soliti andare in giro, di notte, cantando la “canzone dello spasimante”, accompagnati dal suono di una fisarmonica o di una chitarra. “Fiocca la neve” è un grido di umanità, una confessione di sentimenti, desueti per l’affaccendata nostra società, tra i quali affiorano antiche nostalgie per un’esistenza diversa. “Bella, che stai ‘ncoppa a ‘ssa finestra” è una serenata, ricca di poesia e di esuberanza amorosa, indirizzata dal fidanzato alla sua “promessa” come espressione di omaggio, stando sotto la sua casa. Nel momento in cui il giovane, con un’immagine fantasiosa, invita l’amata a togliere un capello dalla sua treccia e a calarlo giù dalla finestra, per salire, riviviamo, in un vero e proprio “flashback”, la storia di Romeo e Giulietta, gli “amanti” veronesi, resi immortali dal grande drammaturgo inglese Shakespeare. “Ragazza innamorata” è un canto che inizia con una delicatissima, bellissima immagine, formulata da una ragazza, in cui si avverte il vibrare di un’accensione amorosa, piena di palpiti per il suo fidanzato, uno “sposino piccolino”, paragonato ad un angelo per la levità del suo passo. Sembra che i piedi del giovane, fatto d’aria, quasi indipendente da ogni materia, non  tocchino il terreno su cui egli cammina.

Itri: canti popolari, espressione della tradizione e della cultura contadina – La canzone termina con la donna, che, dopo essersi raccomandata a Dio per la protezione del suo bel “sposino”, invoca una grazia da sant’Antonio: quella di non far morire il suo “ragazzo”, perché è bellissimo. Nella “Canzone degli innamorati” risalta, a chiare lettere, il tema dell’amore, un tema vecchio quanto il mondo, ma sempre nuovo. Qui i fiori soni chiamati a raccolta per far corona alla giovinezza di due vite, che si congiungono con il nodo eterno del’’amore. L’immagine finale con cui il giovane si accomiata da noi, di particolare pregnanza poetica, è la testimonianza del suo grande amore per la ragazza, che, a suo dire, ha la bellezza di S. Anna, le manuzze di S. Giovanni, il personale della Madonna; amore che cesserà soltanto con la sua morte, “quando il sangue mio bagna la terra”. Nel canto popolare “Friccicarella cumme a ‘nu cardiglio” desunto, come gli altri, direttamente dalla viva voce del popolo,che ne ha fatto e ne fa uso nella vita quotidiana, di una grande finezza di toni, le immagini sono snelle, fresche, felici. Vi si nota la delicatezza quasi rinascimentale con cui si madrigaleggia alla donna.