Stefano Ceccanti

Questa mattina, il governo Meloni all’unanimità ha approvato la riforma istituzionale, introducendo un “premierato” assai diverso da quelli europei.

Di seguito alcune considerazioni di Stefano Ceccanti, professore ordinario di Diritto Pubblico Comparato presso l’ Università di Roma “La Sapienza” e già parlamentare.

“Il testo appare del tutto distante dalle proposte che sin qui avevano immaginato con equilibrio di importare il premierato in Italia, che per lo più si basavano su un’indicazione (non un’elezione diretta) di un Primo Ministro abbinata a un sistema prevalentemente maggioritario e su poteri analoghi a quelli del Cancelliere tedesco (fiducia al solo Cancelliere da parte di una sola Camera, potere di chiedere al Capo dello Stato la revoca oltre che la nomina dei ministri, sfiducia costruttiva con indicazione di un nuovo Premier a maggioranza assoluta, potere di chiedere elezioni anticipate qualora sconfitto sulla fiducia, che sono concesse qualora entro pochi giorni la Camera non elegga un nuovo Premier a maggioranza assoluta).
Qui invece vi è l’elezione diretta, ma non vi sono questi poteri: la fiducia resta bicamerale (e l’elezione delle due Camere messa sulla stessa scheda), per revocare i ministri bisogna ancora passare per la sfiducia individuale, lo scioglimento in realtà finisce per slittare sull’eventuale secondo Premier della legislatura perché quello non è sostituibile.
L’idea di fondo sembra quella di affidare tutto al trascinamento di fatto dell’elezione diretta che porterebbe a prendere dei poteri non formalmente riconosciuti: un approccio divaricante rispetto al costituzionalismo liberaldemocratico.
Ma il testo non è neanche affatto corrispondente allo schema semplice di premierato elettivo previsto per i Comuni, il cosiddetto sindaco d’Italia, basato sul simul stabunt simul cadent tra Premier e assemblea: qui al Premier eletto non basta l’elezione ma deve poi riprendere la fiducia con l’intero Governo; può essere sostituito da qualcuno che è stato eletto dentro la stessa maggioranza, ma tranne il richiamo etereo alla continuità di programma, il secondo Premier può in realtà costruirsi una maggioranza come vuole.

In questo modo è evidente che si fotografa e si incentiva la conflittualità tra i leader dei partiti della maggioranza.

Il secondo Premier è più forte del primo perché solo la sua caduta porterebbe al voto anticipato, non quella dell’eletto direttamente.

Il progetto dovrebbe quindi essere rifiutato, a logica, anche dai sostenitori del sindaco d’Italia.
Del tutto anomala anche la configurazione rispetto alle elezioni dirette conosciute nelle grandi democrazie europee, quelle dei Capi di Stato, che richiedono sempre la maggioranza assoluta con eventuale ballottaggio a due.

In questo caso il quorum esigente sarebbe ancor più doveroso perché all’elezione diretta di un Premier è agganciata una maggioranza garantita in seggi del 55 per cento.

E’ impensabile una norma così precisa nell’assegnare i seggi e che nel contempo lascia alla legge ordinaria l’eventuale quorum e il numero dei turni con cui eleggere il Premier e assegnare detta maggioranza, anomala rispetto alle elezioni dirette europee (anche a quelle italiane) è l’assenza del tetto ai mandati: la concentrazione del potere ha bisogno di essere limitata nel tempo.
Un’occasione che astrattamente avrebbe potuto essere utilizzata in modo consensuale, se avesse attinto a proposte e a regolarità già note, deve al momento ritenersi incamminata su un binario del tutto sbagliato.”