Un italiano su due guadagna meno di 1.100 euro al mese

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Un italiano su due guadagna meno di 1.100 euro al mese – Il lavoro è uno dei principi fondamentali fissati dalla Costituzione della Repubblica
Italiana, secondo l’art. 1. Secondo l’articolo 36 della nostra costituzione: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può
rinunziarvi. “
Eppure il 58% dei lavoratori italiani lavora senza turni, giorni di riposo e orari
inadeguati. Aggiungendo che tali dipendenti ricevono uno stipendio minimo che
risulta essere anche inferiore a 1.100 euro mensili. Situazione inaccettabile per il
lavoratore che deve mantenere una sua indipendenza e occuparsi di spese
necessarie come l’affitto di una casa o la semplice spesa settimanale. Come può
una madre o un padre sostenere dei figli con le loro attività se il loro stipendio non lo
permette?

 Foto simbolo della Repubblica Italiana, scattata da Federico Patellani il 15 giugno del 1946. 

Con questi presupposti come può un giovane pensare di potersi creare una famiglia
o acquistare una casa? Oggi come oggi sembra una vera e propria utopia. Che
prospettiva avranno questi ragazzi, che studiano anni e anni al fine di trovare il
lavoro dei propri sogni, senza poter avere uno stipendio che compensi tali sacrifici?

ARTICOLO CORRELATO – Povertà in aumento anche nel nostro comprensorio. I maggiori disagi a Fondi e Ponza, benessere a Gaeta: In Italia, riguardo la povertà, nel 2020, si è battuto un altro record quello dell’aumento della povertà, che è dal 2005 il dato più importante. Nel 2020, Il fenomeno della povertà riguarda più di due milioni di famiglie circa il 7,7%, a causa pandemia, torna a crescere la povertà assoluta che tocca poco più di due milioni di famiglie e oltre 5,6 milioni di individui circa il 9,4% dal 7,7% dell’anno precedente.Per quanto riguarda la povertà relativa, le famiglie sotto la soglia sono poco più di 2,6 milioni (10,1%, da 11,4% del 2019). Nel 2020, continua l’Istituto di Statistica, l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta si conferma più alta nel Mezzogiorno (9,4%, da 8,6%), ma la crescita più ampia si registra nel Nord dove la povertà familiare sale al 7,6% dal 5,8% del 2019. Tale dinamica fa sì che, se nel 2019 le famiglie povere del nostro Paese erano distribuite quasi in egual misura al Nord (43,4%) e nel Mezzogiorno (42,2%), nel 2020 arrivano al 47% al Nord contro il 38,6% del Mezzogiorno, con una differenza in valore assoluto di 167mila famiglie.

Anche in termini di individui è il Nord a registrare il peggioramento più marcato, con l’incidenza di povertà assoluta che passa dal 6,8% al 9,3% (10,1% nel Nord-ovest, 8,2% nel Nord-est).

Sono così oltre 2 milioni 500mila i poveri assoluti residenti nelle regioni del Nord (45,6% del totale, distribuiti nel 63% al Nord-ovest e nel 37% nel Nord-est) contro 2 milioni 259mila nel Mezzogiorno (40,3% del totale, di cui il 72% al Sud e il 28% nelle Isole). In quest’ultima ripartizione l’incidenza di povertà individuale sale all’11,1% (11,7% nel Sud, 9,8% nelle Isole) dal 10,1% del 2019; nel Centro è pari invece al 6,6% (dal 5,6% del 2019).

Per classe di età, spiega l’Istat, l’incidenza di povertà assoluta raggiunge l’11,3% (oltre 1 milione 127mila individui) fra i giovani (18-34 anni); rimane su un livello elevato, al 9,2%, anche per la classe di età 35-64 anni (oltre 2 milioni 394mila individui), mentre si mantiene su valori inferiori alla media nazionale per gli over 65 (5,4%, oltre 742mila persone).

Rispetto al 2019 la quota di famiglie povere cresce a livello nazionale in tutte le tipologie di comune, ma se al Nord aumenta – da 6,1% a 7,8% – nei comuni fino a 50mila abitanti e nei comuni periferia delle aree metropolitane e comuni da 50.001 abitanti (dal 4,8% al 7,0%), nel Centro a peggiorare sono le condizioni delle famiglie residenti nei centri area metropolitana (l’incidenza passa dal 2,0% al 3,7%). Clicca qui per continuare a leggere l’articolo.